Sionismo, nazionalismo ed antisemitismo.

Da diverso tempo rifletto sull’umana tendenza a deformare la realtà leggendola attraverso lenti diverse a seconda delle circostanze: quelle rosa per gli amici, quelle nere per i nemici. Ovviamente gli amici ed i nemici sono destinati a scambiarsi il ruolo in men che non si dica. Viviamo in un mondo dove tutto è relativo, le verità non sono più rivelate, le informazioni ed il sapere sono teoricamente alla portata di tutti. Eppure ciò non si è tradotto in una maggiore consapevolezza e mai come ora percepisco nel mondo della cultura una evidente inclinazione alla malafede ed al pressapochismo e la musica non cambia quanto si affronta la spinosa questione del sionismo, concetto spessissimo deformato ad uso e consumo di idee e posizioni politiche, che a loro volta non sempre sono espressione di nobili interessi. Ciò che non abbonda, oggi, è la virtù della riflessione, un’attività che il passaggio all’era digitale, pare ostacolare, un’era che ci ha allontanato dalla lettura e dalla scrittura restringendo sempre più il campo alla comunicazione video e vocale, che spingono altrove.

Ciò che mi ha spinto ad occuparmi della spinosa questione del sionismo è il dilagante antisionismo, spesso usato come strumento mascherato di antisemitismo. L’antisionismo è spesso giustificato con l’accusa ad Israele di incarnare l’imperialismo. Ho voluto vederci più chiaro, fare una ricerca storica e dire la mia, perchè solo studiando a fondo le vicende storiche si possono esprimere giudizi storici, i quali sono molto diversi dai giudizi politici.

Il vocabolario Treccani definisce il sionismo come un Movimento politico-religioso, sviluppatosi alla fine del sec. XIX in seguito all’inasprirsi dell’antisemitismo in Europa, inteso a ricostituire in Palestina uno stato che offrisse agli Ebrei dispersi nel mondo una patria comune e, dopo la proclamazione dello stato di Israele (15 maggio 1948), al suo consolidamento. Aggiungo subito (per deformazione culturale) che l’etimo del termine è chiarissimo ed inequivocabile e trae origine dal toponimo Sion, riferito al monte sul quale è stata costruito il nucleo originario di Gerusalemme.

L’enciclopedia Treccani per ragazzi definisce il sionismo quale “movimento di rinascita nazionale come ce ne sono stati molti altri nell’Europa moderna: dall’Italia alla Germania, alla Polonia. Ha una storia particolare semplicemente perché riguarda il popolo ebraico, un popolo dalla vicenda storica particolare, che è stato privato della propria terra per circa duemila anni. Il sionismo è un movimento che avvicina e accomuna il popolo d’Israele agli altri popoli”. Sottolineo come in questa ricostruzione di parli esplicitamente di rinascita nazionale, così come in Italia, in occasione delle guerre d’indipendenza (1821 ss) e della formazione dello Regno d’Italia (1961) si parlò di Risorgimento. Il sionismo è pertanto a tutti gli effetti un movimento ed una ideologia nazionalista dai contenuti parificabili a quelli della stragrande maggioranza dei movimenti nazionali che hanno dato vita negli ultimi secoli ai grandi stati nazionali.

La comprensione del sionismo non può prescindere da una pur sintetica conoscenza delle principali vicende storiche che hanno riguardato il popolo ebraico. La storia degli ebrei è direttamente collegata con quella della Mesopotamia e inizia in quelle aree comprese tra i fiumi Nilo, Tigri ed Eufrate. Era la terra di Canaan. corrispondente all’odierno Israele, ai territori palestinesi, alla Giordania ed al Libano ed era circondata da antichi siti di antica cultura come l’Egitto e la Babilonia ed era attraversata da antiche rotte commerciali.

Per diverse centinaia di anni la terra di Israele fu organizzata in una confederazione di dodici tribù, governate da una serie di Giudici,
Nel 1000 a.C., venne istituita la monarchia con re Saul che continuò sotto re Davide e suo figlio, Salomone. Durante il regno di Davide, la città già esistente di Gerusalemme divenne la capitale nazionale e spirituale di Israele. Salomone costruì il primo Tempio di Gerusalemme.

Tuttavia le tribù si stavano spaccando politicamente ed alla sua morte una guerra civile scoppiò tra le dieci tribù israelite del nord e le tribù di Giuda e Beniamino del sud. La nazione si divise in Regni di Israele, Samaria, a nord ed il Regno di Giuda a sud.

In seguiti, nell’VIII secolo a.c, Israele fu conquistato dal sovrano assiro Tiglatpileser III. Diversamente dal nord, la popolazione del piccolo Regno di Giuda,
riunita attorno a Gerusalemme ed al Tempio, mantenne l’autonomia ed i re furono tutti della dinastia di Davide.

Nel 605 tra la regione siro-palestinese cadde sotto il dominio babilonese ed Il re Nabuccodonosor conquistò Gerusalemme deportando il re e parte della classe dirigente del regno e nominò re Sedecia, che però presto si ribellò contro Babilonia Nabucodonosor tornò allora in Giudea e conquistò Gerusalemme nel luglio-agosto del 587 a.c.. Il tempio fu distrutto e gran parte della classe dirigente e della popolazione esiliata, Dopo la caduta di Gerusalemme, la Babilonia (l’attuale Irak), divenne il centro dell’Ebraismo per più di mille anni.

Nel 539 a.C. la Persia conquistò Babilonia e uno dei primi provvedimenti del re (538) fu quello di permettere il ritorno in patria delle popolazioni forzatamente esiliate dai Babilonesi, tra i quali anche i Giudei.
Attorno al 520-515 fu terminata la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e nel 445 a.c. il re persiano Artaserse I fece ricostruire le mura della città
L’egemonia nella parte orientale del mondo mediterraneo si stava a quell’epoca spostando verso le nuove civiltà greca e fenicia, lontano dagli egiziani, siriani e persiani. Alcune popolazioni cananee iniziarono ad essere individuate come fenicie e colonizzavano diverse aree del Mediterraneo meridionale, sviluppandosi fino a creare l’Impero cartaginese.


Nel 332 a.C., i Persiani furono sconfitti da Alessandro Magno di Macedonia. Dopo la sua scomparsa e la conseguente divisione dell’impero di Alessandro tra i suoi generali, si formò il Regno Seleucida. Come anche per gli altri territori conquistati, Alessandro assicurò libertà di culto e riconobbe l’autorità del sommo sacerdote


Nel 200 a.C. la Palestina fu conquistata da Antioco III, re seleucide di Siria, anche con l’aiuto degli Ebrei. Il successore Antioco IV nel 169 saccheggiò il tempio. e nel 167 ordinò la costruzione di un altare a Zeus nel tempio, proibì la circoncisione e la celebrazione delle feste ebraiche, incluso il sabato, pena la morte.


La Giudea raggiunse l’indipendenza già nel 164 a.C. con la liberazione di Gerusalemme da parte di Giuda Maccabeo. Ebbe inizio la vera e propria dinastia asmonea che però si disintegrò a causa della guerra civile.

Il popolo, che non voleva essere governato da un re ma da una teocrazia fece appello in questo spirito alle autorità romane: Seguì quindi una campagna romana di conquista e annessione, guidata da Pompeo che occupò Gerusalemme nel 63 a.c.

Dopo circa un secolo e mezzo di problematici rapporti con il Senato romano, nel 70 d.C., l’imperatore romano Tito conquistò Gerusalemme, distrusse il Tempio e cacciò gli ebrei dalla loro terra.

Questa data rimase impressa nella memoria ebraica, anche quando ormai l’Impero Romano era crollato e fu l’inizio di quella che viene definita la diaspora – cioè esilio e dispersione al tempo stesso – destinata a durare duemila anni, durante i quali la cultura ebraica non morì, ma anzi si sviluppò trovando, alla fine del diciannovesimo secolo nel giornalista Theodor Herz il grande ‘profeta’ del sionismo.

Theodor Herzl, un ebreo nato a Budapest nel 1860 ma di cultura tedesca fu corrispondente a Parigi per un quotidiano viennese ed assistette al processo contro Alfred Dreyfus, ufficiale dell’esercito vittima di un complotto antisemita. Questa vicenda colpì Herzl al punto da convincerlo che per gli Ebrei non esisteva altra soluzione che quella di diventare «un popolo come gli altri», con una terra e una nazione da abitare. Herzl cominciò così una fervida attività organizzativa per diffondere le proprie idee e convincere gli Ebrei sparsi per il mondo a tornare alla propria terra. Il movimento crebbe progressivamente, dando una spinta ideale a un movimento già in atto: fra l’Ottocento e i primi del Novecento, Infatti, masse di Ebrei in fuga dai pogrom (persecuzioni) dell’Europa dell’Est si erano rifugiate nella Palestina allora controllata dal governo ottomano. Il primo congresso sionista si svolse a Basilea nel 1897. Da allora molte cose sono cambiate, l’ambizioso programma è diventato una realtà all’indomani della Seconda guerra mondiale con la creazione, attraverso un atto formale dell’Organizzazione Mondiale, dello Stato di Israele

Nei suoi fondamenti originari il sionismo propugna la rinascita nazionale del popolo ebraico ma anche la convivenza con i popoli circostanti. È un movimento sostanzialmente umanista e contraddistinto da una visione laica e moderna.

Ma il movimento non si è esaurito una volta raggiunto lo scopo di creare uno Stato ebraico, anche perché era nato come risposta pratica e tattica all’antisemitismo dilagante del XIX secolo ed è una tipica espressione nazionalista al pari di quelle italiana, tedesca, francese dello stesso secolo, che, in una situazione di perenne conflitto con Stati e comunità che disconoscono la stessa legittimità dell’esistenza di uno stato ebraico, ha necessità di essere costantemente richiamato.

Il Programma di Basilea affermava che: “il sionismo si sforza di ottenere per il popolo ebraico un “focolare garantito dal diritto pubblico in Palestina”.

Le idee di Herzl si inseriscono in un movimento migratorio ebraico già in atto, causato, tra l’altro, dalle violente sollevazioni popolari contro comunità ebraiche degli anni 1881-1882 e poi degli anni 1903-1906. Secondo dati del 1930, dal 1880 al 1929 emigrano dalla Russia 2.285.000 ebrei, e, di questi, 45.000 in Palestina. La stragrande maggioranza preferì recarsi altrove: 1.930.000 scelsero le Americhe, 240.000 l’Europa, i restanti l’Africa e l’Oceania. Dall’Austria, dall’Ungheria e dalla Polonia emigrarono, dal 1880 al 1929, in 952.000: 697.000 nelle Americhe, 185.000 in altri Paesi europei, 40.000 in Palestina. Proporzioni analoghe si riscontrarono fra i migranti provenienti da altri Paesi. In totale, durante questi decenni migrarono 3.975.000 ebrei: 2.885.000 negli Stati Uniti, 365.000 nel resto delle Americhe (principalmente Argentina e Canada), 490.000 in Europa occidentale e centrale (specie Francia e Germania), e solo 120.000 in Palestina.

E’ questo il quadro generale dove matura definitivamente l’idea che solo una patria, uno spazio definibile come nazione, possa salvare il popolo ebreo. Da questo punto di vista è ancora più comprensibile come il sionismo perseguisse “per ilpopolo ebraico una patria in Palestina pubblicamente riconosciuta e legalmente garantita.»

Al termine del congresso, Herzl scrisse nel suo diario: «Dovessi riassumere il Congresso di Basilea in una parola – che mi guarderò bene dal pronunciare pubblicamente – sarebbe questa: A Basilea, io fondai lo Stato Ebraico. Se lo dicessi ad alta voce oggi, mi risponderebbe una risata universale. Se non fra 5 anni, certamente fra 50 ciascuno lo riconoscerà.»

Non avendo ottenuto il sostegno ufficiale dell’Impero Otyomano, fino al 1917 l’Organizzazione Sionista perseguì l’obiettivo della costruzione di una patria mediante la strategia di immigrazione continua su piccola scala,
Una seconda immigrazione di circa 30.000 persone partì dalla Russia per la Palestina fra il 1904 e il 1914 in seguito alle persecuzioni dal 1903 al 1906, sostenute dalla pubblicazione di un falso documento segreto ebraico, un vero e proprio libello antisemita prodotto dalla polizia segreta zarista.

Nel 1917 il Regno Unito , nell’imminenza dell’ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme, si impegnava, favorire la costituzione di un “focolare nazionale” per gli Ebrei in Palestina.

Nel frattempo si era già verificata una forte immigrazione principalmente dalla Russia sconvolta dalla rivoluzione e dalla guerra civile.

Nel 1923, In conformità con l’articolo 4 del Mandato della Società delle Nazioni e dopo l’assenso del Congresso Sionista, la comunità ebraica in Palestina costituì un organo di autogoverno, che successivamente fu riconosciuto dai britannici ricevendo poteri para-statali. Nel 1924 la famiglia Rothschild fondò la Palestine Jewish Colonization Association (PICA), che comprò più di 125.000 acri (560 km2) di terreno, favorendo una nuova ondata migratoria proveniente soprattutto dall’Europa orientale. In questi anni, in cui inizia la costruzione dello Stato, si forma la terza generazione di leader sionisti,

Negli anni successivi al 1930 l’immigrazione ebraica aumentò notevolmente per via dell’alto numero di ebrei che abbandonavano la Germania a causa dell’ascesa al potere di del Nazismo ed in seguito alle sue leggi razziali. La maggior parte dei paesi del mondo tenne chiuse le porte ai profughi ebrei; gli Stati Uniti ridussero le possibilità di immigrazione nel 1924 e, sostanzialmente, li escluse nel 1932 a causa della grande crisi del 1929.. La Palestina divenne così, per gli ebrei d’Europa, uno dei pochi rifugi possibili. Tra il 1929 ed il 1939 si verificarono in Palestina vasti scontri tra ebrei e arabi, sedati duramente dall’esercito britannico, con alto numero di vittime da entrambe le parti. L’antica comunità ebraica di Hebron fu letteralmente spazzata via.

Nello stesso anno scoppiò la seconda grande guerra e aumentò enormemente il numero di ebrei che cercavano rifugio in Palestina per sfuggire allo sterminio nazista Nel maggio 1947 i britannici annunciarono il disimpegno dal mandato delle Nazioni Unite sulla Palestina e il suo abbandono entro un anno. Il 15 maggio 1947 fu costituito l’UNSCOP che il 3 settembre raccomandò a maggioranza la divisione della Palestina occidentale (quella orientale aveva già formato lo stato arabo di Giordania) in due stati di simile estensione, uno a maggioranza ebraica e l’altro a maggioranza araba, mentre Gerusalemme sarebbe diventata una città internazionale controllata dall’ONU. Secondo la commissione dell’ONU che si occupò di analizzare la situazione in Palestina e di elaborare la spartizione, la popolazione ebraica contava ormai circa 608.000 persone, mentre quella araba circa 1.237.000 Il 29 novembre 1947 l’ONU votò (33 sì, 10 no, 13 astenuti) la risoluzione 181, contenente la divisione della Palestina.

Le principali organizzazioni ebraiche accettarono la proposta  mentre la popolazione araba la rifiutò, per ragioni religiose e politiche, Gli arabi chiesero in alternativa la costituzione di uno stato unico, con il rientro in Europa di tutti gli ebrei immigrati negli ultimi decenni.

Le nazioni arabe, contrarie alla suddivisione del territorio e alla creazione di uno stato ebraico, fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, ma il ricorso fu respinto. Il 14 maggio 1948 l’autorità governativa ebrea dichiarò l’indipendenza dello Stato d’Israele e lo stesso giorno il neonato Stato di Israele fu attaccato militarmente da Siria, Egitto ed Irak e poi anche dalla Giordania.

Le forze ebraiche vinsero la guerra, che si concluse con una sequenza di armistizi, ma nessun trattato di pace. In seguito alla guerra, Israele conquistò un territorio più ampio di quello promesso dalle Nazioni Unite, mentre la Giordania occupò la palestinese Cisgiordania, e l’Egitto occupò la Striscia di Gaza, parimenti palestinese. Gerusalemme restò divisa tra Israeliani e Giordani. Questo assetto territoriale rimase intatto fino al 1967. L’iniziativa dei Paesi Arabi aveva di fatto finito per nuocere alla stessa causa palestinese, che si era vista sottrarre parte del territorio.

Questo complesso, ma doveroso, preambolo storico, mi consente ora di riprendere ed approfondire il concetto inziale. Il termine “sionismo”, a indicare il nazionalismo ebraico, fu coniato nel 1890 dall’editore ebreo austriaco Nathan Bimbaum che riprendeva il titolo di un libro di Leon Pisker del 1882.
In questo senso, il sionismo è il movimento nazionale ebraico che chiedeva una patria specificamente in Palestina: il movimento nazionalista ebraico non sionista chiedeva invece una patria senza preferenze sul luogo ed era guidato da Israel Zanqwill, mentre l’Autonomismo chiedeva l’autonomia e non l’indipendenza politica degli ebrei nei loro tradizionali territori di insediamento in Europa centro-orientale. In altre parole un dibattito non molto dissimile da quello per molto tempo in altre parti del mondo (non ultima la Sardegna) nelle quali si confrontano posizioni indipendentiste con posizioni autonomiste o federaliste Tuttavia c’è da rimarcare come le varie proposte di insediamento in regioni extra-europee fatte alla fine dell’Ottocento, fallirono o furono rifiutate, così come la richiesta di autonomia, contribuendo solo a meglio precisare natura e ruolo del sionismo.

Continuando la disamina dell’analisi del movimento sionista dobbiamo precisare che nei fatti il sionismo è un movimento laico, elemento confermato dagli scontro con l’ebraismo ortodosso per il quale il regno di Israele avrebbe dovuto ristabilirsi all’arrivo del Messia. Si opposero al sionismo anche gli gli Ebrei c.d. riformati, sostenendo che gli ebrei costituissero una comunità religiosa, non un popolo, e che il regno messianico atteso non è che una metafora per un futuro di libertà religiosa, di giustizia e di pace, da realizzarsi nelle varie società. In campo laico si opposero il Bund, sindacato ebreo dei lavoratori e gli ebrei di sinistra, per i quali l’antisemitismo si combatte lottando per il socialismo (e qua non mi pare di registrare nulla di nuovo sull’atteggiamento della sinistra storica rispetto a tutti i nazionalismi.
Bisogna anche sottolineare che ci fu un largo sostegno al ritorno degli ebrei in Palestina da parte di non-ebrei, sostegno antecedente all’organizzazione formale del movimento sionista. Furono filo-sionisti il presidente cinese Sun Yat-sen, vari presidenti degli Stati Uniti d’America presidenti, la Corona Inglese e diversi primi ministri, il generale sudafricano Jan Smuts il presidente cecoslovacco Tomas Masarvk, l’ambasciatore francese Cambon, gli intellettuali George Eliot, Benedetto Croce ed Henry Dunant (fondatore della Croce Rossa.
In campo religioso molti dei nomi sopra indicati motivarono il sostegno con la propria fede cristiana, Da metà anni ’70 sono aumentate anche le voci filo-sioniste fra gli arabi cristiani, un tempo compatti nel loro antiebraismo religioso.
Anche tra i musulmani vi è una tradizione filo-sionista, pur fortemente minoritaria.

:Per comprendere quale potesse essere lo spirito originario e fondativo del sionismo è utile riprendere una parte della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele nel 1948 nel suo testo originale«it will foster the development of the country for the benefit of all its inhabitants; it will be based on freedom, justice and peace as envisaged by the prophets of Israel; it will ensure complete equality of social and political rights to all its inhabitants irrespective of religion, race or sex; it will guarantee freedom of religion, conscience, language, education and culture; it will safeguard the Holy Places of all religions;»
Questa la traduzione: «promuoverà lo sviluppo del Paese a beneficio di tutti i suoi abitanti; sarà fondato sui valori di libertà, giustizia e pace come annunciarono i profeti di Israele; assicurerà completa uguaglianza dei diritti sociali e politici di tutti i suoi abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, coscienza, lingua, educazione e cultura; tutelerà i Sacri Luoghi di tutte le religioni;»

La mozione, testimoniano le cronache, fu votata subito e ottenne l’unanimità dei 71 sinedriti. Osserva Piètri, peraltro studioso rigorosamente laico:  sul piano dei diritti umani interni per lo Stato di Israele occorre distinguere tra l’ebraicità della persona e il suo status di cittadino: benché Israele sia “stato ebraico” un cittadino non deve essere per forza ebreo per essere riconosciuto tale, poiché esso è comunque uno Stato laico. Israele, infatti, è una democrazia in cui trovano riconoscimento i diritti civili e politici di libertà di espressione e di economia di mercato.

Molti cittadini europei esprimono una forte criticità verso il sionismo, ma di fatto non hanno la possibilità di avere un quadro chiaro da cui poter far scaturire giudizi accorti e seri. Non sanno, ad esempio, che gli arabi che al 1948 risiedevano sui territori di costituzione dello Stato di Israele e i loro discendenti, sono cittadini israeliani a tutti gli effetti, allo stesso livello degli ebrei. Hanno il passaporto e possono liberamente espatriare, Sono circa 1 400 000. Lo Stato di Israele finanzia inoltre ai musulmani che hanno cittadinanza israeliana, il pellegrinaggio alla Mecca.

Israele, considerato senza territori occupati, è classificato come “libero” da Freedom House ed il punteggio è 2 per le libertà civili e 1 per i diritti politici, dove 1 è la situazione migliore e 7 la peggiore. Da questo punto di vista Israele ha il miglior punteggio tra tutti i paesi per medio-oriente.

Israele è l’unico paese del del medio-oriente dove le unioni omosessuali celebrate all’estero sono riconosciute con gli stessi diritti delle unioni civili presenti in altri paesi. Dal 2005 alcuni tribunali israeliani hanno concesso anche il diritto di adottare il figlio del partner.

Questi sono fatto quasi sempre ignorati dalla maggior parte dei cittadini critici verso Israele, molto spesso condizionati da posizioni politiche di leader politici a cui magari si sentono vicini Ed è proprio dalla mistificazione dei fatti che è nato prepotente l’antisionismo. Alla luce di tutto ciò che ho scritto sulla storia del popolo ebreo posso ora afermare con cognizione di causa cosa significhi essere antisionista.

L’antisionista è dunque la persona critica contro il governo israeliano? Chi si autodefinisce antisionista di fatto è contrario al riconoscimento di una nazione per gli ebrei. Chi si definisce antisionista solo per rivendicare il proprio diritto di critica alla politica israeliana significa che non ha capito il vero significato del termine. Si può tranquillamente criticare la politica interna od estera d Israele, ma questo cosa c’entra con il diritto nazionale degli ebrei? Quegli stessi diritti riconosciuti ad altri popoli d’Europa? Compresi i tedeschi, i francesi, i polacchi e gli italiani?

Qualcuno potrebbe obiettare che la storia ebrea è una storia specifica e distinta da quella di altri popoli, ma ciò sarebbe semplicemente discriminatorio o che gli ebrei abbiamo fondato Israele su un territorio non loro, posizione questa a dir poco superficiale e semplicistica, alla luce di quanto descritto in tutta la premessa storica. Di fatto, per molti osservatori, antisionismo ed antisemitismo sarebbero due facce della stessa medaglia.

La giornalista indipendente Brigitte Stora, francese, militante di sinistra, afferma con decisione: “Ritengo che l’odio per Israele, che sembra essere la matrice dell’antisionismo, sia sinonimo di antisemitismo. Il dibattito sul sionismo ebbe luogo nel movimento operaio ebraico all’inizio del XX secolo. I comunisti vi anteponevano l’internazionalismo, i socialisti del Bund puntavano all’autonomia territoriale e culturale, la maggioranza dei sionisti riteneva che il socialismo passasse innanzitutto per la creazione di una nazione per gli ebrei. La Storia è passata da qui. Questo dibattito è ormai sorpassato, finito con la creazione dello stato d’Israele”. Prosegue la Stora: “Israele non è più un sogno, è un paese. L’antisionismo, oggi, non è più una posizione teorica sul futuro che potrebbe essere, ma è una volontà di distruggere qualcosa che c’è. E questo punto di vista non è stato e non è senza conseguenze. Si può ancora sognare, come Jan Valtin, un mondo ‘senza patrie né frontiere’: ma come spiegare allora questo ‘rifiuto’ di un solo movimento di liberazione nazionale, quello del popolo ebraico? Come spiegare tale scomunica di una sola nazione, Israele?”.

Allora, se il sionismo ha un significato totalmente svincolato dalle politiche interne ed esterne dello stato di Israele ed ha, nella pratica, l’identico significato che la parola Risorgimento ha ed ha avuto in Italia, com’è nato l’antisionismo?
Poiché dichiararsi anti-semiti, dopo la tragedia della Shoah, era diventato inaccettabile, per mantenere vivo l’odio antico, ecco l’invenzione di un nuovo strumento, l’antisionismo, che si prestava benissimo a nascondere l’obiettivo vero: la distruzione dello stato degli ebrei, senza essere accusati di antisemitismo.

Dopo un attento studio dei fatti storici non si possono avere dubbi, la politica di Israele non si può legittimamente combattere negando il sionismo. Lo dice la Storia. Essere antisionisti è antistorico, stupido oppure frutto di malafede e di malcelato antisemitismo. Chi vuole agitare il sacrosanto diritto di critica verso uno Stato, che sia Israele o qualsiasi altro, lo faccia pure, ma non provi mai a negarne il diritto all’esistenza.