L’origine dell’alfabeto in Sardegna

Il problema della forte somiglianza tra gli alfabeti fenicio ed etrusco non è mai stato indagato dagli studiosi, e ogni studioso ha sentenziato lapidariamente che l’alfabeto etrusco imita quello greco, anzi l’intera civiltà etrusca imita quella greca. Come essi abbiano fatto a sostenere la derivazione dell’alfabeto etrusco da quello greco, lo spiego soltanto percependo le varie sentenze come segno di un acritico contagio collettivo.
Se capissimo bene i misteriosi movimenti dei Sea Peoples, inquadreremmo meglio questo problema. Non va sottovalutato comunque che la lingua dei popoli ugaritico, fenicio, ebraico rimase indenne dall’urto dei Sea Peoples. È ovvio che rimase indenne pure il loro alfabeto. Anzi, l’assenza di danno fa intuire che furono proprio i navigatori-invasori a impadronirsi dell’alfabeto e propalarlo di seguito per il Mediterraneo.
La forte somiglianza tra gli alfabeti fenicio (cananeo) ed etrusco va nella direzione proposta dal Semerano circa la comune temperie accadico-semitica fruita pure dagli Etruschi, ma va pure in direzione del Pittau, secondo cui gli Etruschi non furono altro che una costola degli Šardana. Sono proprio gli Šardana a fungere da cardine di tutta la questione, essendo chiara la loro posizione diacronica nel Mediterraneo. Si sa che gli Šardana, menzionati dagli Egizi, stazionavano nel Delta del Nilo accanto o assieme agli Ebrei (ai Proto-Ebrei) al tempo degli Hyksōs, dal 1530 a.e.v. giù per qualche secolo. Si sa che furono proprio i Proto-Ebrei ad avere inventato il primo alfabeto nello stesso periodo degli Hyksōs. Si sa pure che gli Ebrei, una volta entrati nella Terra di Canaan ed una volta insediati sino al territorio di Dan, dirimpetto alle coste fenicie, influenzarono profondamente gli abitanti costieri, gli Ugaritici anzitutto, assorbendo appena possibile pure i Filistei.
Com’è che prima ed attorno ai tempi di Salomone ritroviamo i Fenici con un proprio alfabeto maturo, quasi identico a quello usato dagli Etruschi? Com’è che, al momento preciso dell’apparire dell’alfabeto fenicio, comincia la simultanea visitazione dei Fenici in Sardegna e viene scolpita all’istante la celeberrima Stele di Nora, il documento più antico dell’Occidente, scritto in caratteri fenici? Ma tali caratteri erano veramente fenici? erano soltanto fenici? od erano pure caratteri sardi, condivisi dagli Šardana, poi dagli Etruschi? A leggere la Stele di Nora, da me tradotta nei vari volumi della Collana Semitica ed ora riproposta in questo volume, sembra proprio che i Fenici fossero a dir poco fratelli degli Šardana. Questi ultimi stavano nell’isola da secoli (sia che fossero autoctoni o che fossero dei nuovi arrivati accettati dagli indigeni); gli Šardana in quel lasso di secoli avevano avuto il tempo d’inviare truppe d’invasione nel Vicino Oriente, di distruggere Ugarit, d’invadere il Delta del Nilo, di contribuire alla nascita del regno degli Hyksōs, d’essersi mescolati con i Proto-Ebrei, e probabilmente di aver collaborato all’invenzione dell’alfabeto proto-sinaitico. Certamente collaborarono all’invenzione dei grafemi fenici. Infatti è noto che, dopo la distruzione delle città ugaritiche (le quali, lo ricordo, avevano un alfabeto cuneiforme), nella Terra dei Cedri s’insediarono saldamente i Popoli del Mare. Furono essi, non altri, ad aver rimesso in piedi, rapidamente ed efficacemente, la civiltà ugaritica, poi chiamata, dai rapsodi omerici, civiltà fenicia. Furono essi a perfezionare rapidamente, gestire, propalare i grafemi “fenici” nel Mediterraneo.
Intere frasi scritte in “lettere fenicie” si sono trovate persino nel cuore del Gennargentu (a Villanova Strisáili), in luogo dove, si sostiene, i Fenici non sono mai arrivati. E lo credo! Chi scriveva era il popolo sardo! Scriveva con “lettere fenicie”, che però fenicie non erano ma sarde, esattamente come quelle della Stele di Nora.
Sappiamo che i grecisti, uniti ai pasdaran custodi della origine latina della civiltà sarda, hanno trovato una soluzione “molto illuminata” che giustifica l’espansione mediterranea delle “lettere fenicie”: fu la Grecia a favorire la cultura nel Mare Tirreno. Quanto alla Sardegna, la stele di Nora fu scritta dai Fenici. Quindi, ricapitolando, la Sardegna ebbe quelle lettere direttamente dai Fenici (un popolo che s’era messo a invadere il Mediterraneo occidentale appena dieci anni dopo la distruzione totale della propria patria!); l’Etruria le ricevette direttamente dai Greci, tramite la Magna Grecia: la scrittura etrusca sarebbe dunque una imitazione di quella greca, la quale a sua volta aveva ereditato e fagocitato l’alfabeto fenicio.
Due civiltà, una fenicia che punta alla Sardegna, una greca che punta all’Etruria, avrebbero civilizzato il Mare Nostrum. E nessuno s’accorge che la Stele di Nora fu scritta in lingua sarda, da un Sardo (per sua esplicita affermazione!). Nessuno s’accorge che l’alfabeto etrusco è quasi una goccia d’acqua con quello fenicio. Nessuno se n’è accorto! Stando a lorsignori, nel mare Tirreno sarebbe accaduta la seguente pantomima: i Greci trasmettono il proprio alfabeto agli Etruschi, i quali ringraziano calorosamente, ma preferiscono scriverlo in fenicio! Fenomeno da camicia-di-forza. Mentre della Stele di Nora, essendo fenicia tout court, è meglio non parlare: viene tenuta nel dimenticatoio poichè, essendo fenicia, è anche… intraducibile come tutto quanto di semitizzante si è scoperto in Occidente!
Guai a insinuare che, essendo i Fenici nientaltro che i Sardi tornati dalle guerre ugaritiche, essendo gli Etruschi nient’altro che cugini carnali della stirpe sarda, è del tutto ovvio che la scrittura fenicia fu portata prima in Sardegna dai Šardana (ecco la Stele di Nora!), e poi migrò in Etruria, dove subì un lieve maquillage. Ed è solo dopo tale maquillage che i Romani ricevettero il proprio alfabeto, che poi fu ulteriormente rettificato, ossia romanizzato. I Greci nel mentre avevano agito per proprio conto, senza mai influire nel Mare Tirreno, se non fino alla Magna Grecia.

LA STELE DI NORA:

Prima dei Romani i documenti sardi risultano scritti primamente in carattere fenicio, poi in punico. Col che dobbiamo ammettere che i Sardi cominciarono a scrivere la propria lingua con la grafia alfabetica (e la lingua) imperante nel I millennio a.e.v. nel bacino centro-occidentale del Mediterraneo, quella cosiddetta “fenicia”.
La memoria linguistica più alta e importante dell’antichità “fenicia” in Sardegna è la celebre Stele di Nora, il documento scritto più antico dell’Occidente. Sin dall’Ottocento, non c’è stato studioso di razza che non abbia tentato di misurarsi con la sua traduzione. Ed ogni tentativo ha lasciato una versione radicalmente diversa dalla precedente e da tutte le altre.
Non è che la pluralità delle versioni non abbia qualche aspetto da addurre a propria scusa, a causa della condizione alquanto precaria della stele, la cui vetustà (3000 anni) è rimarcata dalla sua composizione arenacea. Infatti attualmente soltanto metà delle lettere lascia intendere a primo acchitto e nettamente il solco tracciato dal lapicida, mentre le altre possono essere percepite solo dopo un’attenta osservazione delle slabbrature e degli sfarinamenti prodottisi nel lungo lasso temporale. Trovata nel tophet, la stele fu prontamente utilizzata per l’erezione della casa del guardiano. Oggidì il testo è leggibile più che altro per la vernice che rimarca ogni lettera, cui occorre attenersi fedelmente, non foss’altro che per uniformare la base di partenza della traduzione. E tuttavia il team di studiosi che ha coraggiosamente deciso di marcare ed evidenziare le lettere con la vernice rossa e violetta deve avere avuto qualche problema, ed ha persino preso qualche cantonata. Ad esempio, la prima lettera della seconda riga è stata rimarcata come fosse una W (pronuncia u) mentre, osservando meglio, la traccia fenicia indica una N [qui e in seguito mi esprimo con l’alfabeto latino, e ricordo che l’elenco dei grafemi è indicato secondo il sistema fenicio, da destra a sinistra]. A complicare i fatti si sono messi anche i “fedeli” traspositori dei grafemi fenici: questi in certi libri sono alterati rispetto a quelli lapidei. Ad esempio, l’osservazione diretta della riga sesta della lapide fa capire, con sicurezza, che ci sono 6 lettere e non 7. Quindi la settima lettera, inserita in GES 614, è da espungere perché nella lapide non è riportata.
Quanto ai traslatori delle singole lettere dal fenicio al latino, essi hanno avuto forse una moderata difficoltà dal fatto che alcune lettere fenicie cambiano significato secondo l’inclinazione. E quindi non gli faccio colpa per aver proposto come D una R (riga sette, lettera 6). Certamente l’inclinazione della lettera faceva il loro gioco, ma ritengo che non dovevano procedere meccanicamente e alla cieca sibbene dovevano, con un pizzico di senso comune, notare anzitutto le incertezze del lapicida, che nell’intera stele esistono, e dovevano poi aiutarsi eventualmente col dizionario fenicio per capire a fondo le intenzioni del lapicida medesimo e la correttezza lessicale delle parole.
Si deve presumere che i lapicidi non fossero al pari degli scribi. Di ciò prese atto la stessa Fuentes Estanol nel suo Dizionario Fenicio, suggerendo una serie di correzioni.
In ogni modo, e tutto sommato, l’intero testo fenicio non è proprio quella palestra di difficoltà che qualcuno sembra voler accreditare, e con l’aiuto del dizionario fenicio il testo può essere tradotto con sicurezza e senza sbavature. Eppure non tutti hanno azzeccato.
Il testo, secondo Semerano, reciterebbe così: Et rš š ngr š Ea b Šrdn šlm et šm ṣbt mlk t nb nš bn ngr lpn j. Ma evidentemente Semerano non ha letto la stele nell’originale, altrimenti non avrebbe fatto una messe di errori e sbagliato totalmente la traduzione, che per lui è la seguente (OCE 836): Et (Accanto è) rš (il sacello) š (quello che) ngr (l’ambasciatore) š (di) Ea (Ea) b (in) Šrdn (Sardegna) šlm (ha edificato): et (questa) šm (memoria) ṣbt (esprime il voto) mlk (che il re) t (per iscritto) nb (espone): nš (elevi) bn (la costruzione) ngr (l’ambasciatore) lpn (davanti) j (all’isola).
Altri studiosi in varie epoche hanno messo la propria impronta su questo testo venerando, sbagliando anch’essi. Nonostante che le difficoltà fossero facilmente sormontabili, sembra proprio che la traduzione sia stata intrapresa più per dovere che per passione. Certi altri studiosi, nella presunzione di dare una datazione precisa del testo (e dell’alfabeto che lo sottende), hanno persino dimenticato d’inserire alcune lettere nell’alfabetario ricavabile dalla Stele (vedi ad esempio Giovanni Garbini apud Moscati F 110).
Un’altra clamorosa sviata è l’interpretazione del Moore-Cross nel 1984, avvenuta quattro anni dopo la pubblicazione del Dizionario Fenicio della Fuentes Estanol. La sua traduzione è la seguente: btršš (…a Tarsis) wgrš h’ (ed egli li condusse fuori) bšrdn š (tra i Sardi) lm h’ šl (egli è adesso in pace) m sb’ (ed il suo esercito è in pace) mlktn bn (Milkaton, figlio di) šbn ngd (Subna, generale) lpmy (di re Pumay: ossia Pigmalione).
Tralascio di registrare ulteriori inaccettabili versioni, dalle quali però non posso evitare di trarre scandalo per la superficialità dei ricercatori, i quali si sono perfino dimenticati, candidamente, la tecnica delle epigrafi dedicatorie imparata sui banchi dell’Università. Non gli sarebbe stato difficile trovare la giusta traduzione, se avessero ripassato quella tecnica e poi avessero sfogliato il Dizionario Fenicio, dal quale si estrae senza difficoltà un testo lineare, pulito, inappuntabile, che è il seguente:

BT RŠ Š NGR Š H’ BŠRDN ŠLM H’ ŠLM ṢB’ MLKTNBN Š BN NGR LPNY
Traduzione. [Questo è] il tempio principale di Nora che io in Sardegna ho onorato in segno di pace [o: compiendo un voto sacrificale, un olocausto]. Io che onoro in segno di pace sono Ṣb’ figlio di Milkaton, che ho costruito Nora di mia propria iniziativa.

Traduzione interlineare. bt (il tempio) rš (principale) š (di) ngr (Nora) š (che) h’ (egli, io) bšrdn (in Sardegna) šlm (ho onorato in segno di pace). h’ (io che, chi) šlm (auguro pace) ṣb’ (sono Ṣb’: leggi Saba) mlktnbn (figlio di Milkaton) š (che) bn (ho edificato) ngr (Nora) lpny (di mia propria iniziativa).

Etimologia. Di seguito confronto il testo della Stele di Nora con le altre lingue semitiche e con la lingua sarda (procedura etimologica), affinchè venga appreso appieno lo spirito della traduzione. Infatti è proprio con le lingue semitiche consorelle (e con la lingua sarda) che ogni studioso qua citato avrebbe dovuto misurare la propria traduzione, al fine di corroborare, rassicurare ed eventualmente correggere il proprio procedere. Operazione evidentemente negletta, che ora tocca a me evidenziare e puntualizzare:

– BT ‘casa, tempio’: cfr. ug. bt, akk. bītu, ass. bētu, ebr. bâit ‘casa’, ‘tenda’, ‘tempio’; e cfr. il lat. habitatiō ‘l’abitare’, ‘domicilio, stanza, dimora, abitazione’ < sumero ḫa ‘vegetale’ + akk. bītu ‘casa’: ḫa-bītu ‘casa di vegetali’ ossia ‘capanna’. Vadi sd. Biddunìe ecc.

– RŠ ‘principale’: cfr. akk. rāšû ‘ricco, benestante’, ar. ras < sum. rašu; cfr. sd. Monte Rasu (è la montagna più alta della catena del Marghine-Goceano, che supera i m 1260).

– Š ‘di’: cfr. akk. ša ‘di’, ‘quella che’; šu ‘di’, ‘quello che’; cfr. sardo sa, su, articolo determinativo ma anche pronome determinativo: ‘quella che, quello che’ (es. Sa ‘e Mulínu, Su ‘e Mulínu ‘la proprietà terriera di Mulinu’).

– NGR ‘Nora, Nògora’; è la stessa Fuentes Estanol a proporre questa soluzione. Anche per questo c’è la giusta spiegazione etimologica, che viene addotta nel Dizionario Etimologico dei Toponimi alle voci Nora e Nùoro.1

– Š ‘che, quella che’: cfr. sopra.

– H’ ‘egli’, ‘io’: cfr. sum. ĝae (1a pers. sing. del pron. pers.). Cfr. sardo giéo ‘io’ a Désulo).

– B-ŠRDN ‘in Sardegna’: cfr. ug. b ‘in’, ebr. be- ‘in’; l’avverbio di luogo cananeo è sempre agglutinato alla parola retta, che in questo caso è Šarden ‘Sardegna’ (šrdn). L’avverbio di luogo ugaritico-fenicio-ebraico b (be) è anche sardo, sardiano. Si ritrova in molte indicazioni di luogo nelle forme be, bei, bi; indica sempre un luogo, non sempre preciso, lontano dal parlante: ‘lì’, ‘in quel luogo’, ‘a quel luogo’: siéntzia bei cheret, no bestire!; a contos male fatos si bi torrada; ite b’ada?; in s’isterzu de s’ozu non be podiat aer che murca; de listincu be ndh’aìat prus de una molinàda; a campu bi anḍo déo; bazibbéi a domo sua; a bi sezis, si benzo a domo bostra?; in su putu bi at abba; no bi creo!
Si è sempre avuto dubbio sulla corretta vocalizzazione della -n di šrdn. La Fuentes-Estanol, per il fenicio, dà Šrdn per ‘Sardo’ e Šrdn’ come gentilizio ‘Sardo’ ma anche Šrdny (possibile pronuncia Šardany), Šrdnt ‘Sardo’ come nome proprio. Nei testi egizi si è un po’ più… dispersivi, poichè gli Šardana sono registrati come Šarṭana, Šarṭenu, Šarṭina (EHD 727b), con suffissi in -ana, -enu, -ina (che sono anche sardi). Giusto l’esito dell’afformante ebraico in -ān indicante l’appartenenza, possiamo affermare che la -n’ fenicia della Fuentes Estanol ha la base sum. ane ‘egli’.
Ma io interpreto ŠRDN della Stele come Sardegna (isola), non come Šardan (popolo). Non può esserci altra interpretazione poichè ŠRDN è preceduto dall’avverbio B- con valore di stato in luogo (‘in’). In questo caso ŠRDN, stante la tradizione che attesta un coronimo lat. Sardìnia, i coronimi sardi Sardìgna, Sardìnna, Sardègna (cfr. eg. Šarṭina, Šarṭenu), sp. Cerdeña, fa propendere per un originario afformante sumerico in -en, che è marca di plurale, oppure per un afformante sumerico -in, che è marca di settorializzazione (‘in’ = stato in luogo, determinante di luogo). Stanti le attuali tre pronunce sarde, specialmente Sardìnna, propenderei a interpretare la finale -N di BŠRDN esattamente -in (determinante di luogo).
Peraltro la lingua sumerica è prodiga di spunti che aiutano a dipanare la questione. Essa offre pure la sillaba ĝa ‘casa, house’ (leggi nga, pronuncia nasale come nell’ingl. -ing). Questo genere di fonemi arcaici si è trasformato durante i millenni nel sardo e italico -gna. Quindi Sardì-gna, Sardìnna è probabilmente il nome più antico dell’isola, col suo bravo mediatore -i- che impareremo a conoscere nello stato costrutto (vedi § 3.1.14). Sardì-gna, Sardìnna (< Šard-ī-ĝa) significò in origine ‘Casa dei Sardi’, ‘Dimora dei Sardi’.

– ŠLM ‘ho onorato in segno di pace’: cfr. ug. šlm ‘pace, salute’ (anche ‘vittima’, ‘sacrificio di comunione’), ebr. šālom ‘salute, pace’, arabo salâm ‘pace, salute’, akk. šâlu ‘gioire’, lat. sālus ‘salute, salvezza’. Il termine è mediterraneo.
Purtroppo il lemma antico-sardo che oggi sopravvive in Sardegna appare corrotto dal latino: salùde, saludáre. Ma esistono ancora le prove che il termine šālom fu pure sardiano, antico-sardo; infatti queste provengono da un monte presso Dolianova, Bruncu Salámu, di origine granitica, celebre per rigettare alle sue pendici delle fonti di acqua purissima considerata curativa, quasi miracolosa. Accorre, da epoca immemorabile, tanta gente. Alcuni sanno persino scegliere tra sorgente e sorgente, dichiarando che certi getti curano il mal di fegato, altri i reni, altri lo stomaco.

– H’ ‘chi’, ‘io che’: vedi su.

– ŠLM ‘augura pace’: vedi su.

– ṢB’ ‘(è) Saba: nome proprio di origine berbera che si ritrova tra i Punici, ma è pure di origine cananea; Anche per Ṣb’ c’è la giusta spiegazione. Il nome era noto agli Ebrei già in 1Re 10,1-10.13; 2Cr 9,1-9.12; Gb 1,15; Is 43,3; 45,14; Gn 10,7.

– MLKTN-BN ‘figlio di Milkaton’; il lemma è di quelli che poi divennero cognominali, e va letto mlktn-bn, cfr. ug. bn ‘figlio’, ebr. ben ‘figlio’, akk. būnu ‘figlio’, sardiano bunu > cgn Bonu; ma vedi anche sum. banda ‘bimbo’, bunga ‘bimbo’ < bun ‘vescica (seno)’ + gu ‘mangiare’, col significato arcaico di ‘colui che mangia dal seno’ ossia ‘poppante’; poi passò a indicare anche i bimbi cresciutelli, le bimbe grandicelle.
Milkaton è un composto possessivo (bahuvrihi) nilotico-semitico-sardiano: Mlk-Aton, col significato di ‘Reggitore di Dio in terra’ (nome personale, in pratica ‘faraone’), da mlk (melek) ‘reggitore, principe’ + Aton ‘Dio Sole’.
Milkaton fu anche nome maschile sardiano, e la prova sta negli arcaici cognomi Melkis (Merchis, Melca, Merke) + Atene, Atzéni. Il primo membro, Melkis, può essere considerato, secondo il modo ebraico, diminutivo di Melkisedek, ma pure nome diretto, originario appunto da melek; il secondo, Atene, è dall’egizio Aten, Aton (Dio Sole).

– Š ‘che’, ‘il quale’ (vedi su).

– BN ‘ho edificato’: cfr. ug. bnt ‘costruzione, edificio’, bnwn ‘edificio’, b-n-y ‘costruire, ricomporre’, akk. banû ‘creare’, ‘costruire’. La base di tutte queste forme verbali è il termine che abbiamo già analizzato all’inizio: bt ‘casa, tempio’: cfr. ug. bt, akk. bītu, ass. bētu, ebr. bâit ‘casa’, ‘tenda’, ‘tempio’; e cfr, il lat. habitatiō ‘l’abitare’, ‘domicilio, stanza, dimora, abitazione’ < sumero ḫa ‘vegetale’ + akk. bītu ‘casa’: ḫa-bītu ‘casa di vegetali’ ossia ‘capanna’. Alle origini l’idea di ‘tenda’, ‘capanna’ fu presa dal comportamento della ‘vite’, un rampicante che allo stato naturale crea vere e proprie coperture sugli alberi, delle tende. La base etimologica di lat. vitis è il termine accadico già visto: bītu ‘casa, tenda’.

– NGR ‘Nora’: vedi su.

– LPNY ‘davanti a me’, ossia ‘di mia propria iniziativa’ (termine agglutinato da l particella suffissata + pn + -y): cfr. fen. pny ‘davanti a’. Per l, cfr. ug. l ‘da’, ‘per (finale)’, ‘in’, ‘accanto a’, ‘presso a’, ‘unito a’; vedi anche sum. la ‘mostrare’. Per pn, cfr. ug. pnm ‘faccia, viso’; l pn ‘davanti a’, ‘in faccia a’, ‘a faccia a’ (cfr. akk. penû, panû ‘fronteggiare’, ‘essere a fronte di’, ‘faccia’; ebr. penû ‘faccia’). Per -y ‘me, di me’, cfr. ug. -y (morfema pronominale suffissato) in relazione genitivale ‘me, mio’, in relazione accusativa ‘me’, ecc.; e cfr. akk. -ya ‘me’ (1a sg. pron. suff.). In Sardegna abbiamo dei riscontri antichissimi a questo composto “fenicio”. Cominciamo da L, da confrontare col camp. là ‘a, verso’, ‘ecco!’ < ebr. לְ le, preposizione indicante che una cosa esiste o agisce in avanti, in presenza di. Dobbiamo pure tenere conto di la, locuzione esortativa campidanese, usata in frasi quale La chi ti partu de conca! ‘Sta attento che ti parto di testa, che ti dò una testata!’; La chi ses fendi su scimpru! ‘Attento a te che stai facendo lo scemo!’. La base etimologica sembra l’akk. di Emar la, ingl. to, it. a, lat. tibi. Ma è più congruo il lemma sumerico la ‘mostrare, esporre’, col significato quindi di ‘guarda!’. Per il finale -y di lpny, significante ‘me, di me’ in accezione genitivale, possiamo avere il conforto nel seuese y, che viene usato al posto di de ‘di’ genitivale: Perda-y-liana = Perda ‘e liana. La porzione centrale di lpny è pn, significante ‘faccia, viso’. Ha il riscontro con l’antico sardo Pani, Pane (oggi cognome), significante ‘viso’ (sottinteso: di Dio). Quindi l-pn-y significò, anche in sardo antico, ‘davanti a me’, ‘in mia presenza’.

Dalla Stele di Nora non s’inferisce alcunché circa guerre, eserciti contrapposti che depongono momentaneamente le armi, come sostiene il Cross. Šlm (Šalom in ebraico) è un classico motto di pietà, di mitezza e pace innata, poco adatto a generali che invadono terre altrui ed entrano, per conto d’un supposto re Pigmalione, nei santuari a violare religioni straniere. Ai tempi della Stele di Nora i Fenici erano di casa in Sardegna almeno da uno-due secoli, e sino ad oggi non c’è stato alcuno storico che abbia osato arguire che vi siano entrati con l’impeto e la violenza d’un esercito conquistatore. Si è sempre detto e scritto l’opposto, in armonia con quanto sappiamo da tutti gli storici greci. Saba pose la stele sul tophet – chiamato, secondo l’uso fenicio e cartaginese, “tempio principale” nonostante che fosse un santuario non costruito, un santuario uranico – e sul tophet fece un sacrificio, un olocausto. Così recita la stele. Šlm infatti non significa soltanto ‘augurare pace’ ma anche ‘compiere un atto pacifico’, ‘compiere un gesto rituale solenne e pio’ quale è appunto l’olocausto.

Avverto che il testo fenicio, da me proposto dopo la rigorosa lettura de visu della Stele, presenta tre lettere diverse rispetto a certi testi riprodotti a disegno in altri libri. Le prime due lettere riguardano entrambe il nome di Nora:

– alla riga 2 ho pertanto sostituito – com’era giusto secondo l’analisi critica prima addotta – N a W;

– alla riga 7 ho preferito R a D (causa la grafia della stele poco perspicua);

– alla riga 8 ho preferito N ad M (causa il supposto ipercorrettismo del lapicida).

Le tre lettere fenicie da me scelte sono molto simili a quelle sostituite e consentono – ecco l’importante – di avere dei riscontri nel Dizionario della Fuentes Estanol. Peraltro è la stessa Fuentes Estanol a dare l’esempio nel proprio Dizionario, proponendo spesso delle sostituzioni a causa di evidenti errori dei testi, forse causati dalla scarsa conoscenza della lingua o dell’alfabeto da parte dei lapicidi.

Aggiornamento: il video della conferenza di Salvatore Dedola, con la parte dedicata alla traduzione della Stele di Nora, click qui

Fonte: Grammatica della Lingua Sarda Prelatina, Salvatore Dedola

[2.8 L’origine dell’alfabeto. Il primo alfabeto della Sardegna; 2.9 La Stele di Nora: traduzione ed etimologia]