I sardi e l’analfabetismo economico

Nella sua recentissima opera intitolata “Problemi finanziario-economici della Sardegna”, Adriano Bomboi cita una classifica mondiale stilata dell’agenzia di rating Standard & Poor’s da cui è emerso che solo il 37% dei sardi conosce le materie economiche, una percentuale che ci avvicina a paesi come il Kenya (38%) e l’Azerbaijan (36%). La classe politica locale, ovviamente, è lo specchio di questa situazione e fatica ad elaborare riposte efficaci e concrete sui fronti aperti, finendo per dare risposte non solo sbagliate, ma addirittura controproducenti, frutto di spinte irrazionali, incontrollate, legate spesso alla necessità di consolidare il consenso immediato e invece pochissime volte vocate verso ricadute più generalizzate e durature nel tempo.

L’involontario, ma gravissimo, effetto collaterale di questo stile manageriale delle istituzioni, non solo non produce soluzioni complicando i problemi, ma addirittura concorre a distruggere quel poco che nel privato funziona e tenta faticosamente di protendere verso lo sviluppo economico.

Esiste in Italia un dualismo storico e culturale tra economia e sensibilità sociale e si dipinge il mercato come il luogo mosso esclusivamente da egoistiche esigenze private, relegando le politiche monetariste e limitatrici della spesa a politiche contro i cittadini per la tutela dell’interesse di pochi eletti. Lo stesso mito della spesa pubblica come strumento di moltiplicazione della crescita è il risultato di questa impostazione culturale sulla quale si può anche nutrire rispetto storico, ma sui cui risultati si deve poter esprimere qualche legittimo dubbio.

Le questioni dell’euro, dei suoi vantaggi e svantaggi, del controllo della stampa della moneta o della spesa pubblica, ma anche della continuità territoriale, della zona franca o dell’autonomia finanziaria, divengono allora tutte questioni fuori dalla portata di una classe politica che finisce per trascinare, da una legislatura all’altra, i medesimi problemi con l’aggravante di non risolverli e talvolta addirittura di perpetuarli.

Una ricerca del 2016 mostra inoltre che un’alta percentuale di analfabeti funzionali italiani possiede una laurea. L’incompetenza non deriva quindi esclusivamente da un problema di scolarizzazione ma, probabilmente, dalla natura e dalla qualità della scolarizzazione.

L’Italia spende il 4% del PIL, più dell’Irlanda che però ha un tasso di analfabetismo funzionale tra i più bassi d’Europa (appena il 17% contro il 28% dell’Italia) e dalle medesime statistiche emerge che avere una laurea non è sempre un argine alle derive da principianti.

La Sardegna può però vantare un tasso di analfabetismo funzionale di appena il 13.6%, un dato confortante rispetto a quello italiano del 28%. Partiamo da questo dato positivo per recuperare il tempo perduto auspicando che i sardi ed in particolare i giovani sardi sappiano approcciarsi in modo più riflessivo e responsabile alle questioni dello sviluppo, spendendo un po’ più di tempo e di energie nello studio delle materie economiche.