Ricerca linguistica, una questione di metodo
Anni fa fu Mario Ligia, pittore, scrittore, storico e politico macomerese, ad avere l’intuizione, ma non potè portarla a compimento per diverse ragioni, la più importante delle quali il fatto che il suo sguardo coraggioso si spostò più in là, ma non abbastanza. Egli, tra i primi, si scrollò di dosso la visione romano centrica di stampo tedesco per sostenere ed argomentare, con la sua pubblicazione “La lingua dei sardi. Ipotesi filologiche”, l’ipotesi che la lingua sarda derivasse non già, come sosteneva il Wagner, dalla lingua latina, ma da ben più lontano, dalla lingua greca antica. Ligia ebbe il merito di aprirmi gli occhi e la mente a quelli che sarebbero poi stati gli studi linguistici del Prof. Salvatore Dedola, che da subito mi ha sorpreso per la sua capacità di ragionamento multidisciplinare, scevro da ideologismi accademici, da pregiudizi storici, dalle incrostazioni della scuola linguistica indoeuropea, una parola che è divenuta nel tempo vuota parola d’ordine priva di contenuti concreti. Come in altri ambiti anche in quello linguistico la lingua, la cultura e la storia la fanno e pretendono sempre di scriverla i vincitori, i dominatori ed i conquistatori, ma nel caso della Sardegna le cose stanno molto diversamente. Più di una testimonianza storica da assoluta certezza della sopravvivenza di una fiera e ben distinta lingua sarda in barba ai cartaginesi, ai romani, ai bizantini, agli spagnoli ed ai piemontesi. La lingua della Sardegna è. di fatto, al pari del DNA dei suoi abitanti, testimonianza archeologica ancora viva delle più antiche lingue semitiche. Per arrivare a ciò il Prof. Dedola ha voluto e potuto attingere a piene mani al vocabolario assiro, lingua madre di tutte le lingue mediterranee.
Proprio in questi giorni ho avuto l’onore di essere tirato per la giacchetta proprio dall’illustre Professor Dedola, il quale mi ha scritto “Caro Gavino Guiso, quando io parlo del mio metodo che chiunque può verificare, ognuno di voi sa ciò che sto dicendo, poiché avete letto i miei libri (ai quali premetto sempre un lungo discorso metodologico) ed ogni giorno leggete gli esempi di metodo che posto in questa pagina”,
Caro Prof. Dedola, ebbene sì, sono uno dei fortunati possessori del suo incredibile NUOVO DIZIONARIO ETIMOLOGICO DELLA LINGUA SARDA (Nou faeḍḍarzu etimológicu dessa Limba Sarda), in cui tra i vari parametri del metodo ci sta sicuramente la coerenza.
La coerenza è confermata in ogni pagina e accolgo con grande favore di misurarla, ancora una volta, sulla etimologia della parola SACCAIA, affinché “la gente sappia se il Prof. Salvatore Dedola è più coerente di molti altri che si professano accademici.
SACCÀIA sassarese., gallurese., logudorese. e campidanese. ‘agnello, pecora o capra di un anno’, che ha raggiunto l’età in cui può essere ingravidata. Wagner sostiene che il termine derivi da saccu ‘sacco’, e questo dal fatto che l’utero delle femmine saccaie è finalmente in grado di concepire. Nel sostenere ciò Wagner viene influenzato dal Corominas, il quale scrive allo stesso modo. Tutti gli studiosi che hanno affrontato il problema ritengono che il termine sardo derivi da consimili voci iberiche (v. catalano. sagall). Ma intanto nessuno ha osservato che in sardo. esiste principalmente il maschile saccáju (registrato dal Wagner come lemma portante), ed un saccáju non può affatto suggerire l’idea della GRAVIDANZA. In verità Wagner e Corominas hanno ragione a legare questo lemma al saccu, che però non è affatto il sacco dell’utero.
Questo termine invece ha base etimologica nel babilonese. saqqu (maschile) ‘tessuto da sacco’, e si ricollega al fatto che l’agnello, raggiunto l’anno, è finalmente adatto ad essere tosato e fornire lana da tessere, diventando “saccàju, saccàja” (aggettivale).
Caro Professore, nel ringraziarti per avermi chiamato in causa, non posso che plaudire ancora una volta il tuo metodo, che poco richiama ciò che per anni, falsamente, mi è stato insegnato. Mi si ripeteva all’infinito che l’etimo delle parole dovesse essere derivato principalmente dai suoni e dalle pronunce: niente di più falso. Ciò porterebbe all’assurdo di accomunare lemmi assolutamente incompatIbili. Sul punto vorrei citare l’arcinota storiella dei sardi che a Picadilly Circus, in piena Londra, si sarebbero imbattuti nel classico poliziotto di quartiere britannico che si sarebbe a loro rivolto esclamando; “Hello, boys!” al quale i sardi avrebbero risposto candidamente “Hello nois semus crihante unu tzilleri….”. Sorrisi a parte una delle grandi lezioni del Glottologo Prof. Dedola, che dopo anni di ricerche ha finalmente visto la luce in fondo al tunnel, è che nello studio della linguistica bisogna sempre rifuggire dalla prima impressione e usare tutti, dico e ripeto, tutti i vacabolari a disposizione, senza fermarsi al latino in nome di quella visione romano centrica voluta da quelle ideologie figlie dell’ideologia della razza e convinte assertrici della supremazia culturale di alcuni su tutti gli altri. Per fare questo le accademie hanno operato per anno continue mistificazioni, creando una famiglia linguisica, quella indoeuropea, inesistente e figlia di un pregiudizio ideologico.
PS. La foto dell’anteprima è di proprietà ed a cura di uberpictures.com ”
Foto a cura di uberpictures.com “