La Sardegna può diventare il modello in grado di affrontare il tramonto delle ideologie.

Una volta era il piccolo schermo, la tv nazional-popolare, a creare le presunte verità; oggi ci pensano i social, amplificando ogni fantasia e nefandezza, frutto spesso di chirurgica malafede finalizzata a mettere in moto la c.d. macchina del fango che, puntualmente, spedisce in soffitta (o all’inferno) l’avversario di turno. La politica, dal canto suo, avendo smarrito il proprio ruolo propulsore ed in cerca di facili consensi che durano un batter di ciglia, arriva persino a fargli da gran cassa. Con l’aria che tira,  cercare di mettere ordine alla confusione dilagante significa assumere il rischio di essere accusati di pressapochismo e di ignoranza, oltre che essere aggiunti all’ignominioso elenco di proscrizione dei conservatori reazionari. Io lo affermo senza mezzi termini: le vicende degli ultimi 25 anni ci suggeriscono che le categorie di destra e sinistra non sono più sufficienti a rappresentare né le istanze dei cittadini né i partiti che pretendono di interpretarle, anche se questa verità dirompente non viene, colpevolmente, messa in evidenza da chi, per ruolo, esperienza e storia, avrebbe l’autorevolezza per farlo. Esiste peraltro il fondato sospetto che si dia maliziosamente credito ad una falsa rappresentazione della realtà al solo scopo di nascondere il vuoto che sta dentro molti cervelli. Le generazioni piú mature sono, ovviamente, quelle che maggiormente faticano ad accettare questo stato di cose e continuano a vivere in un mondo che non solo sta cambiando, ma che proprio non esiste piú. Classe operaia, fascismo, comunismo, liberismo e neoliberismo sono solo alcuni dei concetti storicamente fondamentali per la comprensione della Storia, ma ormai privi di aderenza con il presente, eppure tutta la classe dirigente storica ed ancora in sella, quella che di fatto ha in mano tutte le leve del potere, usa ancora queste categorie come punto di riferimento inprescindibile trascurando di fare i conti con una realtà che necessità di nuove catalogazioni e nuovi registri di comunicazione ed il pericolo vero per la democrazia e soprattutto per i diritti civili é quello di finire per non mettere a fuoco i veri pericoli che minano alla radice la loro conquista costata due secoli di guerre e rivoluzioni.

Da questa situazione di cosí grande confusione, effetto collaterale indesiderato da imputare al modello centralista e statalista, paradossale frutto della benedetta rivoluzione francese, giustificato dall’idea altrettanto benedetta e universale di uguaglianza, fratellanza e legalità, si può uscire solo attraverso il recupero e la valorizzazioni delle culture locali, capaci, in una rinnovata e moderna ottica basata sul confronto e multilateralismo culturale, di dare nuova linfa e senso  a nuove categorie aderenti alla realtà quotidiana delle persone, in una dinamica che si sta rivelando vincente anche nel nuovo approccio all’economia che potremmos semplificare in quel  “think global act local” che esprime nel contempo bisogno di essere e bisogno di relazione

La Sardegna, con la sua storia e cultura millenaria, solo apparentemente permeabile, ma di fatto figlia di una stratificazione incredibilmente varia di esperienze culturali profondamente diverse tra loro (su tutti cito il quadro poetico deleddiano “Noi siamo sardi“), piú di altri puó efficacemente esprimere questa moderna esigenza di coniugare le culture esterne mantendendo salda la propria, fuori da quelle categorie di destra e sinistra che, appiattendo le vicende sarde sulla falsa riga di quelle nazionali, ha fonito di fatto per dividere i sardi e giustificare la negazione di ogni spazio ed ogni diritto nazionale.