Zona Franca in Sardegna, il peccato originale del 1947

Ho già avuto modo di sottolineare come lo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna attualmente in vigore sia stato il risultato della debolezza e forte divisione tra i sardi, incapaci di resistere ai richiami ed agli interessi (e logiche) della politica nazionale.

Infatti l’attuale Statuto, di tipo cosiddetto autonomistico, si è rivelato negli anni uno strumento assolutamente insufficiente ed inadeguato a rispondere alle esigenze particolari dei sardi e della Sardegna finendo per rappresentare una foglia di fico, un modo cioè per nascondere ciò che era palese: il ratto dell’autodeterminazione dei sardi da parte dei partiti della Repubblica Italiana, senza esclusione alcuna.

Come per le questioni finanziarie e fiscali, anche sul fronte delle politiche doganali la discussione della Consulta sarda, una sorta di struttura di autogoverno della Sardegna, nel Gennaio 1947 fu molto controversa.

Sul punto l’unico partito ad avere una visione netta e le idee chiare fu il partito sardista, le cui proposte, tutte imperniate sull’indipendenza doganale e sulla zona franca, furono totalmente respinte in favore di un sistema misto come quello siciliano, un sistema, insomma, centralizzato con qualche piccola eccezione, come la richiesta di libera importazione dell’occorrente per l’industria e l’artigianato, la possibilità di istituire punti franchi, l’estensione di privilegi agricoli ai trasporti agricoli, il parere vincolante della Regione sarda sui trattati concernenti scambi importanti per l’isola. Tutti i rappresentanti in seno alla Consulta, ad eccezione del rappresentante sardista, avevano respinto l’ipotesi della zona franca illimitata.

La discussione che ne seguì, alla quale intervennero i deputati Lussu, Laconi, Mannironi e Gesumino Mastino, evidenziò come, nonostante i reiterati richiami alla necessitò di costituire un fronte unico autonomistico di tutti i partiti per presentarsi compatti al confronto nazionale, permanessero voli differenze tra le diverse forze politiche soprattutto sui poteri da atribuire alla Regione. Le raccomandazioni dei costituenti sardi era quella di seguire le indicazioni ed i limiti del progetto predisposto dalla sottocommissione della Costituente evitando esagerazioni. Aleggiava, srmpre più avvertibile, insomma, uno spirito di autocensura, giustificato dalla necessità di un pragmatiscmo imposto dall’evoluzione della situazione politica nazionale (1)

A distanza di 70 anni da questi fatti, che ricostruiamo grazie all’impegno ed allo studio di quanti si sono prodigati nel riportare fatti ed avvenimenti storici, i sardi e quanti abbiano contezza e conoscenza della Storia della Sardegna, hanno il dovere di riprendere il filo da dove è stato interrotto, anzi direi spezzato, e riproporre con urgenza allo Repubblica Italiana un modello di Statuto che risponda finalmente alle esigenze ed ai diritti di autodeterminazione del popolo sardo.

E’ con questo spirito che è nato da qualche mese il progetto Sardegna Stato Federale il quale, coinvolgendo tutti i sardi di buona volontà e superando finalmente le incomprensibili divisioni basate unicamente su categorie ed interessi estranei a quelli dell’isola, determini finalmente quella spinta politica che possa rimettere in discussione, in una contrattazione pattizia e democratica, il rapporto tra la Sardegna e la Repubblica Italiana.

Bibliografia

(1) Le Origini dello Statuto speciale per la Sardegna – Maria Rosa Cardia – Edes