8 Marzo, libere di scegliere

Nella mitologia dell’antica Grecia furono le amazzoni a rappresentare un chiaro esempio di società matriarcale e nella stessa Grecia i riti religiosi indicavano il potere autonomo della donna a rimanere gravida e quindi a generare la vita, mentre la paternità non veniva tenuta in considerazione. Ma c’è un’altra cultura a noi molto cara che ben rappresentava questa opzione: la civiltà nuragica.

Qualche mese fa, in occasione di una indimenticabile notte di San Lorenzo organizzata nella suggestiva località detta “Tamuli” dalla meritevole cooperativa Esedra, una suadente voce narrante, intercalata dai magici suoni delle launeddas, ripercorreva quel cammino del neolitico sardo in cui la donna ricopriva un ruolo centrale nella società nuragica, al punto da far definire appunto “matriarcale” questa stessa cultura.

In seguito la Preistoria ha lasciata spazio a quella che viene propriamente definita Storia e le vicende hanno iniziato a prendere una piega diversa; la scoperta del meccanismo della riproduzione e quindi della paternità ha spinto l’uomo a limitare fortemente lo sviluppo sociale e relazionale femminile. Ma sarebbe un errore imperdonabile pensare di fare di un’erba un fascio e sarebbe un errore non tenere in considerazione che il ruolo della donna non è stato il medesimo nello spazio e nel tempo, dipendendo esso anche dall’evoluzione delle singole comunità. Del resto alcune figure, come la mitizzata Giudicessa Eleonora d’Arborea, sono là a smentire l’idea di un medioevo come ce lo hanno voluto rappresentare tra i banchi di scuola, tanto più se consideriamo che Eleonora è vissuta nel XIV secolo in Sardegna, a torto rappresentata come un continuum storico di arretratezza e isolamento culturale.

Negli ultimi 100 anni le cose sono decisamente cambiate e la donna ha iniziato un lento, ma inarrestabile percorso di affrancamento dal ruolo tradizionale, iniziando una corsa a perdifiato molto salutare, ma che a volte assomiglia sempre più ad un treno in corsa senza freni, che rischia letteralmente di deragliare,

In questa realtà sicuramente migliore per la condizione della donna, registro peraltro alcune contraddizioni che rischiano di contraddire il concetto stesso che sta alla base dei movimenti femminili: la libertà. Non c’è più libertà se portare un fazzoletto in testa viene considerato ridicolo; non vi è più libertà se la donna che non lavora fuori casa viene additata come incapace; non c’è più libertà se il ruolo di madre non viene adeguatamente apprezzato e riconosciuto quale insostituibile e mirabile funzione capace meglio di qualsiasi altro elemento di salvaguardare il concetto di famiglia e la sua innegabile e naturale funzione educativa, famiglia che costituisce di fatto il nucleo primo e primordiale di qualsiasi forma sociale. La donna dev’essere più libera, ma la sua vera libertà sarà raggiunta quando potrà davvero scegliere come realizzare al meglio le proprie inclinazioni ed ispirazioni senza sentirsi costretta a rinunciare contro la propria volontà al suo naturale ruolo di madre per ragioni esclusivamente economiche od in ossequio alla cultura dominante.

Del resto non posso che riportare la mia diretta testimonianza. Mia madre, nata del 1943, parlava e scriveva italiano, portoghese ed inglese e nella sua vita ha gestito in prima persona diverse attività commerciali. Mia Nonna, classe 1921, era la vera artefice di ogni scelta familiare, compresi tutti gli innumerevoli cambi di residenza, inoltre è stata iscritta per lungo tempo nelle liste degli artigiani per il lavoro che eseguiva a domicilio ed era stata titolare di un’attività di vendita la dettaglio,. Due donne, dunque, che poco avevano a che fare con lo stereotipo della donna sottomessa e remissiva. Solo un caso? Forse la donna sarda del passato, pur apparentemente esclusa da alcuni ruoli, esercitava di fatto una funzione di primissimo piano ed era investita di fatto da responsabilità decisionali determinanti, una situazione questa forse figlia di quel matriarcato risultato delle lunghe assenze dell’uomo dalla famiglia e dal paese a causa degli impegni pressanti nella lontana campagna?

Io sono per la libertà, la libertà della donna di autodeterminare la propria esistenza, di esercitare il diritto a realizzarsi nel modo a lei più consono, ma sono anche critico verso quella cultura che impone la figura stereotipata di una donna storicamente sempre sottomessa che possa realizzarsi solo attraverso comportamenti che possano essere definiti maschili. L’uomo e la donna sono due mondi diversi, portatori dei medesimi valori e dei medesimi diritti, ma con sensibilità naturalmente diverse. Da uomo che ama il genere femminile affermo: evviva la differenza.