La musica nella cultura Shardana

Nel 2018 a Cagliari si è tenuta una conferenza sulla musica nella cultura Shardana con il prezioso contributo di Fabrizio Marchionni (docente al conservatorio specialista in organo e filologo della musica sarda), Andrea Deplano (specialista mondiale del canto e tenores) e Salvatore Dedola (insigne glottologo e linguista da decenni impegnatissimo sul versante della ricostruzione della storia e preistoria della Sardegna). Il percorso ricostruttivo non poteva che iniziare dalle preziose testimonianze lasciateci dai bronzetti nuragici, rappresentazioni “parlanti” della antichissima società sarda. In particolare sono stati analizzate le figure in bronzo di un suonatore di corno e un suonatore di uno strumento particolarmente affine alle sardissime launeddas, uno strumento duttile e poliedrico, tanto che il nome launeddas rappresenta in realtà non un unico strumento, ma diverse versioni di uno strumento, tra cui ricordiamo per esempio “su puntu ‘e organo”., L’accostamento tra le due parole ha sicuramente origine dall’incontro tra due strumenti che rappresentavano ognuno una propria diversa sensibilità mistica (pagana le launeddas e cristiana l’organo) ma che hanno in comune l’essere entrambi aerofoni, laddove l’aria delle launeddas è soffiata dai polmoni, mentre quella dell’organo dai grandi mastici.

Ma questi musicisti sardi erano figli dell’isolamento? No. Un esempio Giuseppe Agus, che nel 700 è divenuto uno dei più illustri musicisti barocchi di tutti i tempi, caratterizzato da una visione moderna capace comunque di trarre linfa dalla musica ancestrale dell’antica civiltà sarda (prendano ispirazione i musicisti contemporanei). Altro esempio Giuseppe Anedda, mandolinista molto apprezzato, ed Ennio Porrino (l’opera Shardana su tutte con un solo di oboe ispirato alle launeddas),

Lo studio del canto a tenores di Delano ha inizio molti anni fa, ma avuto un’ulteriore impulso proprio dall’incontro tra il Deplano musicolo e il Dedola linguistica e glottologo (e etimologo). Egli ebbe il primo contatto con la musica da bambino, quando ebbe in regalo l’armonica a bocca e “sa trumba”. che imparò a suonare secondo le tradizionali due frasi che ne costituivano quasi il registro e che poi si univano: 1) 30, 40, 100, 91; 2) Maridu cheret a no nde li dana, E come unrle? Dicevano gli anziani “cussu ti lu narat sa muta”. E cos’è questa muta? Sa muta non è altro che la capacità, la sapienza, il saper fare, quella magia che permette ad un’azione di prendere forma ed assumere un significato e nella musica quell’insieme di, suoni, note e pause che determinano un’armonia. E sa muta viene dal sumero mudu (saggio).

Ma il vero salto di Deplano lo si avverte proprio nell’incontro tra studio della struttura musicale e linguistica, con un contributo senza precedenti nell’individuazione dei caratteri sumeri dei cantos a tenores. E l’attenzione, anche qua, non poteva che focalizzarsi sugli antichi cori che continuano ancor oggi a scandire sillabe dal significato sconosciuto, dimenticato,, ma ben noto al glottologo Salvatore Dedola. Ecco che allora in su Turturino di Orosei è agevole arrivare alla traduzione di Tur (akk. nuovamente) tu (sum. battere) ri (sum. gridare) nu (sum far girare) e nel testo del coro “Elle du ba ha m ba” assume il preciso significato di “Dio supremo (Elle) performance musicale (du) distribuire un dono (ba) e armonia (ha+m hamun). Il canto a tenores è dunque un canto di tipo religioso del periodo nuragico capace di parlare quanto un’intera opera; altro che civiltà senza scrittura!