Janas, la befana ed il carnevale sardo

Questo articolo è scritto interamente dal Prof. Salvatore Dedola, glottologo. Per la foto in evidenza ringrazio Erika Pittau

Nel trattare la fenomenologia del Carnevale Sardo si può partire da più aspetti. Ma se vogliamo attenerci alla cronologia, è prioritario cominciare ad illuminare la natura della Befana.
Per convenzione, il Carnevale comincia proprio con la Befana. L’apertura del ciclo annuale con l’appuntamento del 6 gennaio in Sardegna dà la stura alla ubiquitaria confezione di tonnellate di tzìppulas, le dolci frittelle che si vendono ovunque, si confezionano in ogni casa, si distribuiscono gratis friggendole in enormi padelle (sartàinas) durante le molteplici manifestazioni carnevalesche.
La Befana è presentata in tutta Italia come una vecchia laida, e da oltre 1500 anni è diventato normalissimo identificare la Befana anzitutto con una Vecchia Strega. In Italia si ha cura di identificare la Vecchia Strega e la Befana nella stessa figura, nelle vesti di uno stesso personaggio. Ognuno di noi ha in mente tale stereotipo, inculcato dai racconti dell’infanzia, dalle molte favole, dalle troppe immagini, a cominciare dalla figura della Strega tramandata nei films di Walt Disney. In Sardegna la figura italica della Befana-Vecchia Strega da duplice diviene triplice, riapparendo identica anche nel personaggio di Sa Filonzana, la quale accompagna fin dai primi giorni ogni manifestazione carnevalesca.

E’ stata la Chiesa Cattolica a demonizzare le figure carnevalesche, giudicate pagane.
Occorre non dimenticare che tutti i personaggi del Carnevale (compresa la Befana) sono di per sé e basilarmente dei personaggi demoniaci, cattivi, feroci, che esistono al solo scopo di perseguitare il genere umano. Ma – attenzione! – durante il Carnevale tutti questi personaggi demoniaci vengono ridicolizzati, diventano innocue macchiette con le quali si può, volendo, persino andare a braccetto, persino entrare al bar per ubriacarsi. Il Carnevale è il capovolgimento delle usanze e dei sistemi ideologici. Lo sappiamo. Ma occorre anche sapere che sia la creazione dei personaggi demoniaci sia il loro capovolgimento in periodo carnevalesco è stato voluto dalla Chiesa. La Chiesa è il “grande burattinaio” che ci fa fare tutto e il contrario di tutto. Il popolo può soltanto adeguarsi a questa “commedia degli inganni”, che dura da almeno 1500 anni.
Per meglio confondere (e sostituire) ogni aspetto delle antiche religioni, la Chiesa ha persino inventato l’Epifania, pretendendo di convincerci che il nome Befana non sarebbe altro che la corruzione plebea di un bel grecismo da essa chiamato Epifania, con cui vorrebbe intendere la ‘manifestazione’ della divinità di Gesù ai Tre Re Magi.

La Befana? In realtà era sa Filonzana
Ma la Befana, nonostante questa offensiva del Vaticano, non è affatto un nome plebeo. Invece è un nome distinto e fortemente caratterizzato, riferito proprio a Sa Filonzana, a ‘Colei che taglia il filo dell’esistenza’. Con ciò stiamo restituendo alla Befana il suo vero ruolo, che gli antichi Carnevali Sardi non avevano mai sminuito, poiché i Carnevali in Sardegna furono (almeno prima della guerra scatenata dal Vaticano) delle manifestazioni sacre, dei Misteri, dei riti di morte-e-resurrezione che avevano il proprio inizio allo scoccare del Nuovo Anno.
Fortuna vuole che a Sàssari la commistione verbale Befana/Epifania non sia mai stata accettata, e per rispetto alla Chiesa si nomina quell’Epifania come Paχa di l’Annùntziu ‘Festa dell’Annuncio’. Ed è sempre a Sassari che, rivolgendosi ad una persona dall’espressione assente, imbambolata, si dice: drommi drommi ki t’iscéḍḍa la befana ‘dormi, dormi che ti sveglia la befana’ (frase avente senso tragico, relativa a un sonno che può diventare eterno).

Befana, etimologia sumerica
Si badi che befana ha la base etimologica simile, almeno in parte, a quella di beffa (dal sumerico be ‘to cut off, tagliar via’ + pad ‘to break, fare a pezzi’). La parola è pure simile a becchino (dal sum. be ‘tagliar via, ridurre a pezzi’ + kin ‘falce’ = ‘ridurre a pezzi a colpi di falce: emblema della Morte). A sua volta, Befana è un aggettivo in -na dal sumerico be ‘tagliar via’ + pad ‘fare a pezzi’. Il composto bep-pad in origine indicò l’atto di ‘tagliar via (estirpare dalla vita) riducendo in brandelli’.
Nonostante l’attuale aspetto beffardo e giocondo, la Befana nell’alta antichità era quindi l’emblema della Morte che si presentava ai Carnevali ad indicare la fine dell’anno appena passato. Ecco Sa Filon-Zàna ‘la Giana del Filo’ (la Parca che taglia il filo dell’esistenza del vecchio Anno), la quale non a caso è vestita da Befana.
Parca è nome latino, e non è un caso che riappaia nella maledizione sassarese Marabaχa ‘mala sorte’, poiché i Sassaresi ancora oggi conservano, più degli altri sardi, alcuni nomi latini altrove scomparsi, in quanto Turris Libysonis (e quindi Sassari) fu una colonia latina in purezza, e tale sempre rimase (un po’ come Alghero, che ancora oggi mantiene la lingua catalana). Marabaχa viene inteso come ‘mala Pasqua’, ma una formula così intesa non avrebbe senso: s’è tziχéndi la marabaχa cu lu lampióni ‘si sta cercando la malasorte col lanternino’; marabaχa ki ti póssia inciccia’ ‘la malasorte ti possa incinerire’. Invero, non si tratta della Pasqua ma della Parca (colei che taglia i fili dell’esistenza). Nella bestemmia si vuole indicare, tra le Parche, proprio colei che taglia il filo. Il lat. Parca ha base etimologica nell’accadico parāqu ‘separare, staccare’.

Le fate sarde. le fate buone delle domus de Janas
Ricordo che le Parche latine erano chiamate anche Fatae (intese come ‘coloro che gestiscono il Fato’, il destino). E qua entriamo nel mondo delle Janas (e ricordiamo sa Filon-Zana, Filon-Jana), che nel Capo di Sopra vengono chiamate proprio fatas, fadas, sempre per influsso sassarese. Anche questo è termine italico. In logudorese e campidanese per fada s’intende la ‘fata, incantatrice’. Molti considerano fata originata dal lat. fātum ‘fato, ciò che è stato decretato, sentenziato’ dal destino, con base nell’accadico awātum ‘parola emessa, formula, comando, ordine, decisione’ riferito agli déi, al potere della parola divina; riferito quindi anche agli oracoli’.
Ma in Sardegna (e nel Continente del periodo medievale) ancora una volta le interpretazioni non collimano più. Il popolo ha sempre inteso per Fata un essere benefico, che dona la vita, che apporta felicità e benessere. Quindi quel fātum latino nel nostro territorio e nella nostra epoca va soppresso, poiché la vera base etimologica di fata sta nell’accadico pādû(m) ‘(spirito) indulgente’.
Tornando alle Janas, abbiamo già notato la loro parentela con sa Filon-Zana, Filon-Jana. Con ciò stesso, ci accorgiamo che tutti i personaggi di cui discutiamo hanno una personalità tragica, fatale. Un mondo legato al buio, alle tenebre. Ma ci vuole poco a capire che, specialmente in Sardegna, i nomi attuali sono separati irrimediabilmente dalla funzione. Ogni personaggio delle tenebre non è altro che una invenzione medievale. Ai primordi questi nomi erano relativi a personaggi legati alla luce, e fu soltanto la Chiesa nel Medioevo a imporre il capovolgimento delle cose, pretendendo che le Gianas fossero legate alle tenebre, risiedessero nel buio delle tombe parietali, le quali da quel momento furono chiamate, sotto impulso clericale, domus de janas.

La caccia alle streghe
La Chiesa spinse a tal punto la questione, da demonizzare l’intero universo femminile, l’amore, la concezione, il parto, la perduta verginità. Era nata la Caccia alle Streghe, una allucinante persecuzione che cominciò a consolidarsi col consolidarsi del Cristianesimo, 1500 anni fa, e che durò sino alle terribili persecuzioni medievali e dell’Età Moderna, cessando soltanto con l’ultimo raccapricciante rogo acceso a Salem nel Massachusetts nel 1692.
La Chiesa, assatanata ed ebbra della propria immensa potenza, capovolse ogni e qualsiasi sistema di pensiero, specialmente tutto ciò ch’era legato alla religione, ed ogni parola che si prestava allo scopo fu rapidamente contorta, capovolta nel significato e nell’uso. Così la dea Diana, che in origine non fu altro che la Dea della Luce (da dies ‘giorno’), non a caso raffigurata dai Romani con la mezzaluna in fronte (antico segno della Dea Luna), fu non solo relegata alla notte ed ai riti notturni, ma di lei si fece la Dea delle streghe (e torniamo alla Befana, che della Strega ha pure il naso adunco, come il becco di s’istrìa, la civetta), preposta a tutti i riti diabolici (anche questi sono riti inventati dalla Chiesa quali espressione di Satana).
Ma Diana significa propriamente ‘Dea del Cielo’ (quindi ‘Dea della Luce’), con base etimologica nel sumerico di ‘splendere, brillare’ + An ‘Dio del cielo’, col significato di ‘Dio/Dea del cielo brillante, splendente’. Tutti gli dei “pagani” fecero le spese d’una demonizzazione collettiva, e Diana amplificò in sé il mito cri¬stia¬no della perversione, divenendo la guida delle streghe. Identificata con la Luna, astro legato alla ciclicità della donna. Diana amava la notte ed in¬car¬nava a un tempo una delle forme della triplice Ecate, la dea della magia adorata con riti misterici, atti ad eccitare l’immaginazione.
In Sardegna oggi ci ritroviamo is domus de janas (normalmente chiamate nel nord sas domos dessas fatas, ‘le case delle fate’). Sono tombe ipogeiche scavate nelle pareti rocciose, risalenti all’Età tardo-neolitica e del rame (2000-2200 a.e.v.). La tradizione cristiana, nemica del buio, relegò in quei buchi l’habitat del maleficio e della perversione.
Ma in Sardegna le Gianas furono in origine soltanto le ‘Stelle’, ossia le ‘Abitanti del Firmamento’.
N ONORE DI UBALDO SERRA – Articolo scritto dal glottologo Prof. Salvatore Dedola