NEL CABUDANNI, IL CAPODANNO DEI SARDI “SOS SINNOS” DELLA NOSTRA LIBERAZIONE IDENTITARIA E POLITICA.

(Di Mario Carboni)
Ogni anno in questi giorni si parla, si scrive, si sottolinea come il mese di settembre sia per noi sardi l’inizio dell’anno e questo è certificato dal nome Cabudanni variamente pronunciato nei nostri tanti dialetti della lingua sarda.
Ritengo che l’inizio dell’anno, il Capodanno condiviso dai sardi e dagli ebrei , che coincide con l’inizio dell’anno agrario, non derivi da consuetudini di periodi storici, ma vada ricercato nei primordi della economia agraria che si sovrappose molti millenni or sono a quella della caccia e della raccolta .
In pratica al periodo della rivoluzione neolitica che coincise con il prevalere dell’agricoltura proveniente dalla mezzaluna fertile in ondate che raggiunsero l’Irlanda e la Scandinavia, passando anche per la Sardegna e caratterizzando per millenni la civiltà megalitica che andava scoprendo i metalli a iniziare una prima stagione di grandi cambiamenti passando dalle pietre magistralmente lavorare, all’ossidiana poi al rame e ancora al bronzo e al utilissimo ma anche micidiale ferro .
Volendo restringere l’analisi a noi sardi e lo possiamo fare perché abitanti di questa grande isola e nella quale abbiamo conservato e tramandato il patrimonio genetico di quei lontanissimi tempi mi pare si possa dire che il culmine di una società di agricoltori e di pastori in Sardegna possa essere indicato nel periodo eneolitico o del rame, cioè quello che ci ha lasciato molte centinaia di domos de Janas molto più lungo e precedente alla civiltà nuragica che oggi va tanto di moda.
Quel periodo che sembrerebbe fosse stato pacifico, di grande prosperità, crescita demografica e commerci anche marittimi perché si distribuiva l’ossidiana in tutta l’Europa e s’importava l’ambra fin dal Baltico, fu probabilmente il tempo nel quale si formò la radice culturale, psicologica e spirituale di base della natzione Sarda come forte piattaforma sulla quale attraverso innesti, acquisizioni e dominazioni esterne e pochissimi apporti genetici ci riconosciamo oggi alla ricerca della nostra identità di popolo autoctono e che aspira alla libertà .
Fu allora che divenne necessario calendarizzare le attività agrarie e ciò veniva fatto utilizzando sia il ciclo lunare che quello solare.
Come facevano a determinare le stagioni nel loro evolversi in continuo. ?
Lo facevano in molte maniere e soprattutto monitorando i cambiamenti delle ombre di oggetti o traguardando su pietre fitte appositamente lavorate e assemblate sia i tramonti che le aurore che mostravano la lunghezza della luce diurna sempre in lotta col buio notturno .
Avevano quindi identificato l’equinozio d’autunno nel periodo nel quale finiva l’estate e iniziava l’autunno .
Quel periodo non era precisamente identificabile come lo è oggi in un preciso momento nel quale il giorno e la notte si equivalgono, ma si dipanava in un lasso di tempo di circa 20 giorni dopo il quale il prevalere del buio sulla luce diveniva certo ma anche inarrestabile sino al successivo equinozio.
Questo periodo veniva chiamato in maniere diverse nel nostro emisfero e secondo le lingue parlate allora e che non conosciamo .
Da noi in particolare non sappiamo come fosse chiamato il periodo di settembre nella lingua pre nuragica e neanche in quella nuragica , ma sappiamo comunque che quando la lingua sarda neolatina divenne comune e generale questo mese,corrispondente all’equinozio d’autunno venne definito come Cabud’anni appunto come fra gli ebrei e probabilmente presso anche altre culture contadine e pastorali.
In questo Capodanno accadevano molte cose ma le principali come ancora oggi erano i patti agrari e riferiti alla pastorizia e si iniziava dopo la mietitura e la vendemmia a lavorare in previsione del buio e del freddo .
Si festeggiava anche e molto durante le giornate e le notti tiepide e tutte le feste originate appunto durante il neolitico sono state assorbite dal sincretismo cristiano che però s’impegnò non poco nell’eradicare tutte quelle che successivamente avevano conservato il rapporto con la fertilità della terra e soprattutto con la sessualità umana e i valori del matriarcato sopraffatti dal prevalere del bronzo, delle armi e delle prerogative guerriere conseguenti e tipiche dei sardi nuragici battuti poi dal ferro punico.
Non mi sorprende l’improvvisa passione dei sardi per la civiltà nuragica e sull’epopea tanto amata e soprattutto armata degli Shardana.
In fondo pur essendo giustissimo recuperare tutto ciò che è recuperabile da una lunga storia nella quale siamo stati indipendenti e forti, prima che iniziasse il ciclo di colonizzazioni che ancora continua con quella italiana e che giusto sottolineare come la presenza dei nuraghi e soprattutto la scoperta dei Gigantes di Monte ‘e Prama abbia funzionato da innesco di un nazionalismo di liberazione sempre più evidente e diffuso fra i sardi, mi stupisce che analoga attenzione non venga rivolta ai periodi precedenti e nel lasciare le domos de janas in completo abbandono e non emerga ancora la forte richiesta di valorizzare assieme e nella loro continuità nel tempo sia le grotticelle diffuse in tutta l’isola che le torri e i pozzi sacri salvandoli dalle distruzioni e dai saccheggi che non cessano ma aumentano ogni giorno di più .
Credo comunque che ciò avverrà e molto velocemente perché soprattutto con l’uso delle foto da telefonino, delle riprese con i droni , diffuse attraverso il web e i social da un numero sempre crescente di appassionati, si è spalancato agli occhi dei sardi un forziere pieno di sorprese, bellezze e potenzialità identitarie e politiche ma anche economiche nel prefigurare un turismo culturale ad esso correlate.
Opposto all’equinozio d’autunno che viviamo in questi giorni del Capodanno sardo si pone l’Equinozio di primavera .. e questa è un’altra storia che si dipana attraverso i solstizi in un eterno ciclo di vita, morte e resurrezione.