La retorica di regime nella dichiarazione di Guerra del 1940

Nacqui da genitori apolitici, ma così non furono i miei nonni, visceralmente antifascista quello paterno e istintivamente anticomunista quello materno, due antidoti che in me hanno funzionato entrambi ed ecco perché nelle parole che Mussolini pronunciò nel 1940 da Palazzo Venezia non vedo che una faccia della stessa medaglia. tanto che tutti gli storici sono ormai concordi nel riconoscere il fascismo come una costola deviata del socialismo rivoluzionario massimalista.

Per spiegare cosa sia stano stati i regimi totalitari nel mondo e nella storia basterebbe dare uno sguardo non solo alla storia d’Italia (fascismo), ma anche a quella tedesca (nazismo), ma anche sovietica (stalinismo e non solo) e delle povere repubbliche satelliti ungherese e polacca (invase entrambe con i carri armati da Mosca al primo anelito di democrazia) e nessuno di questi regimi possono essere salvati, sebbene sia sempre utile confrontare la loro insindacabile bocciatura con la contingenza dei tempi, mai peraltro dimenticando né la vergogna delle leggi del 1938 a danno del popolo ebreo, né il fatto che per lungo tempo si è taciuto sul consenso degli italiani versoi il regime fascista.

Leggendo o, se preferite, ascoltando il discorso che Mussolini pronunciò a Piazza Venezia per comunicare la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna ed alla Francia, emergono incredibillmente stile, modalità e contenuti che richiamano alle moderne dittature.

Per giustificare la discesa in guerra del Regno d’Italia Mussolini dichiarò testualmente “Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano“. Mi ricorda qualcuno, indubbiamente. Evocare un nemico comune e ridicolizzare le forme di governo democratico come espressione della conservazione, dell’ingiustizia sociale e dei privilegi di pochi è sempre un formidabile argomento per convincere un popolo a fare ciò che un capo supremo si prefigge.

In un altro passaggio il Duce afferma: “Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste parole: frasi, promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati“. Ecco qua, se oggi l’ONU invita uno stato membro ad astenersi da un aggressione militare a danno di altro stato (allora, anno 1935, fu l’Etiopia), a sbagliare è il mondo, non lo stato aggressore, ed il dittatore di turno grida al complotto dei poteri forti.

Poi più avanti Nussolini afferma: “Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano“. Avete capito? La colpa è di coloro che ci stanno costringendo a dichiarare guerra. diciamo pure che siamo stati provocati e non ne parliano più.

A ancora: “Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia“, Ovviamente non spiega quali siano queste irricevibili proposte. Date uno sguardo qua.

E’ incredibile, a distanza di così tanti anni, come quelle parole siano così tristemente familiari.

Di seguito il discorso integrale in versione video e successivamente sotto forma di testo.

Combattenti di terra, di mare, dell’aria.

Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.

Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.

Ascoltate!

Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria.

L’ora delle decisioni irrevocabili.

La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.

Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.

Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste parole: frasi, promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati.

La nostra coscienza è assolutamente tranquilla.

Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano.

Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate.

Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia.

Oramai tutto ciò appartiene al passato.

Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.

Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano.

Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione.

È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra.

È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto.

È la lotta tra due secoli e due idee.

Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l’Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per mare o per terra: Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o no rigorosamente confermate.

Italiani!

In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo. Questo abbiamo fatto con la Germania, col suo popolo, con le sue vittoriose Forze Armate.

In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla Maestà del re imperatore [la moltitudine prorompe in grandi acclamazioni all’indirizzo di Casa Savoia], che, come sempre, ha interpretato l’anima della patria. E salutiamo alla voce il Führer, il capo della grande Germania alleata.

L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai.

La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti.

Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere!

E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.

Popolo italiano!

Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!