Brigata Sassari, per Emilio Lussu fu il deposito rivoluzionario della Sardegna

Quando si parla di sardismo e di Brigata Tattaresa sono in molti a percepire l’indissolubile legame che lega storicamente i sardi a questa unità militare, costituita nel 1915 in due reggimenti con sede a Sinnai e Tempio Pausania, ma in pochi ad avere memoria storica di fatti che superano ormai il secolo.

Le fonti ufficiali assegnano alla Sardegna 13.602 caduti nella prima Grande Guerra, cioè 138,6 morti su ogni 1.000 sardi chiamati alle armi, una cifra di gran lunga superiore alla media nazionale, 104,9. Le perdite della sola Brigata; invece, ammonterebbero a 140-150 ufficiali e 1.600-2.000 militari di truppa morti, cui vanno aggiunti 400 feriti, mutilati o dispersi tra gli ufficiali e 11.000-12.000 feriti, mutilati o dispersi tra i militari di truppa (Manlio Brigaglia). Sono cifre significative che – anche se non vi corrisponde con esattezza aritmetica – giustificano l’affermazione di Camillo Bellieni che disse “la Brigata fu disfatta dieci volte e dieci volte rifatta”.

Nell’opera Sea and Sardinia, David Herbert Lawrence descrive la presenza di un’intera popolazione maschile ancora tutta vestita in grigioverde in occasione della sua visita in Sardegna nel 1921, dando testimonianza di come la grande guerra avesse lasciato una traccia nell’abbigliamento dei sardi, e persino nel modo di fumare il sigaro a fogu a intro. Senza l’esperienza della «Sassari» e il suo stesso mito la storia successiva dei sardi sarebbe stata certamente diversa.

Sulla Brigata ci ha lasciato testimonianze scritte, Emilio Lussu, ufficiale molto amato dai soldati della Brigata Sassari, una Brigata formata soprattutto da pastori e contadini una Brigata che finiva quindi per essere quasi la «rappresentanza armata della Sardegna che si faceva onore»; una Brigata, per usare le parole letterali di Emilio Lussu, che diventava «il deposito rivoluzionario» di quel movimento dei combattenti che si sarebbe sviluppato così impetuosamente in Sardegna nel primo dopoguerra”.

Camillo Bellieni ha sempre sottolineato una continuità tra la vita in Sardegna e la vita in trincea, parlando delle «bardane» di cavalli e di muli durante i riposi; Lussu ha ricordato nel suo saggio sulla Brigata e il Psd’ Az il rifiuto del Cunservet Deus su re per le canzoni di casa, la sostituzione
dell’ufficiale «Savoia!» con l’ «Avanti Sardegna!» e, in alternativa, con quel «Forza Paris» che sarà il grido del sardismo del 1921;

“In realtà la storia della Brigata Sassari- afferma Giuseppina Fois nella sua opera monotematica – è la storia della presa di coscienza dei sardi, in particolare delle masse contadine e della maturazione di un rivendicazionismo regionalista che segna anche la conquista d’una prima dimensione politica. E’ proprio in guerra, nella tragica esperienza della guerra di trincea, che si coagula il cemento «nazional-regionale» destinato a dar vita al primo movimento di massa della storia contemporanea dell’isola”.

La guerra – scrisse su “Giustizia e Libertà” Emilio Lussu – è stata per noi tutti, politicamente arretrati come in ogni regione del Mezzogiorno e della Sicilia, una grande lezione umana e nazionale. Nazionale in senso sardo, ché la Sardegna, per oltre un millennio staccata dalla vita italiana, altro non è che una nazione fallita storicamente.

Scrisse ancora Lussu: “sentimmo cioè potente la nostra individualità, con un sentimento unitario e autonomo, con la coscienza per giunta di far cessare uno stato di oppressione e di sfruttamento. Sentimmo la capacità di essere noi stessi e nient’altro che noi stessi: autogoverno. E il diritto di partecipare autonomamente alla trasformazione dello Stato italiano, il nostro Stato di tutti. E di essere, di questo Stato, soggetti sovrani di diritto “.