ZES, il primo passo verso una Zona Franca integrale per la Sardegna.

Enrico Pes e Perantoni Marchi si sono resi protagonisti di una iniziativa alquanto lodevole e Sabato scorso mi hanno invitato ad un convegno incentrato sul tema delle zone economiche speciali e le zone franche, un tema impegnativo che presentava il rischio di limitarsi ad un elencazione di occasioni perse e che invece, a mio parere, grazie alla presenza contestuale dei migliori tecnici sardi sull’argomento, sarà ricordato come l’evento più importante degli ultimi anni nel cammino della Sardegna verso la Zona Franca integrale in quanto capace di mettere in fila le vicende e capire a fondo i nuovi strumenti a disposizione, le ZES, che se ben utilizzate possono divenire in poco tempo la leva su cui poggiare la creazione di sei zone franche nell’isola e in un futuro successivo la base per la creazione di un unica zona franca integrale.

Era l’anno 2013 quando ebbi io la fortuna di organizzare a Macomer un incontro pubblico sulla Zona Franca con Mario Carboni e Antioco Patta, oltre che con il funzionario regionale Giampiero Soru. Da allora, tra molti passaggi a vuoto, vi sono stati due fatti nuovi che gettano luce su un cammino lungo e difficile, e per la prima volta posso affermare di vedere una luce in fondo al tunnel e premetto subito che questa mia affermazione è sostenuta non da effimere speranze, ma da due passaggi legislativi portati a casa in questi mesi.

Il primo concerne la creazione in Sardegna delle Zone Economiche Speciali, il secondo è l’approvazione del principio di insularità.

Sull’insufficienza dei due provvedimenti ho già avuto modo di esprimermi pubblicamente e più di una volta, ma devo anche prendere atto di due verità fondamentali, cioè che le ZES danno la possibilità ai commissari di creare al loro interno delle zone franche doganali e che il principio di insularità, da me parzialmente criticato nell’approccio, può in ogni caso divenire base giuridica determinante per il riconoscimento del diritto della Sardegna alle zone franche e ad una futura Zona Franca integrale, a parte ovviamente l’implicito riconoscimento di una questione sarda, da sempre sottaciuta.

Il convegno di Ghilarza sulle sei Zone Economiche Speciali istituite in Sardegna ha avuto il merito non solo di fare il punto sullo stato dell’arte del tema grazie al prezioso contributo di Antonello Carboni, Mario Carboni e Aldo Cadau, quest’ultimo attuale Commissario della ZES di Cagliari, ma anche di tracciare con chiarezza un percorso per andare ben oltre.

Come lucidamente illustrato da Antonello Carboni, già nel 1921, all’indomani della sua nascita, il Partito Sardo d’Azione, primo fra tutti, chiese l’istituzione della Zona Franca nel territorio della Sardegna, ma fu qualche decennio prima l’Onorevole Giuseppe Todde, economista liberale, a delinearlo per primo come strumento strategico. La guerra doganale con la Francia aveva infatti indebolito fortemente l’economia sarda e Giuseppe Todde aveva compreso che la Sardegna non poteva pagare per le scelte del Regno d’Italia, portatore di interessi diversi.

La proposta del Partito Sardo d’Azione cadde purtroppo nel vuoto e durante il fascismo questa visione svanì, ma dopo la seconda guerra mondiale, esattamente nel 1946, il Psd”Az tornó alla carica con la proposta di un nuovo statuto sardo di stampo federalista che conteneva la previsione di una zona franca integrale, ma senza successo. a causa della forte resistenza del Partito Comunista e da un atteggiamento molto tiepido della DC, al punto da venire accusato di secessionismo e separatismo.

Negli anni a venire la zona franca fu poi declinata in una ipotesi di punti franchi, svuotati di efficacia e la politica sarda inizió a puntare sullo strumento dei piani di rinascita.

Negli anni 80 si riprese a parlare di zona franca con un comitato istituito dalla Camera di Commercio di Cagliari e presieduto dall’economista Paolo Savona, ma ancora una volta si combatté la soluzione come si fosse davanti al diavolo e parte degli stessi membri della commissione mostrarono molte resistenze rispetto ad un modello che presupponeva un approccio fortemente orientato alla deregulation, caratteristica tipica dei sistemi economici liberali.

Negli anni successivi con il vento saridista (Giunta Melis) ci fu la richiesta formale di zona franca in Sardegna e fu formato un gruppo di studio per un articolato di legge che nel 1988 fu approvata dal consiglio regionale e poi approdò al Parlamento italiano, dove ancora una volta fu oggetto di resistenze sino a che il gruppo del PCI presentò un disegno di legge sui punti franchi per limitare e depotenziare la proposta di Zona Franca integrale.

Negli anni ’90 il giovane sardista Mario Carboni tempestó i media sull’argomento e il Psd’Az istituì un comitato al quale aderirono tutti i partiti e poi tutti gli enti territoriali. Si creó un clima positivo che ottenne un primo risultato. Sembrava cosa fatta; si ottenne un incontro con il ministro Veltroni e si scrisse il successivo decreto 75/98 con l’Istituzione delle sei zone franche al posto dei punti franchi. A quel punto, a norma di legge, mancava solo la perimetrazione delle zone franche e i conseguenti decreti attuativi. Fu il Governo regionale Floris a provare ad andare avanti, ma ogni attività fu interrotta con il finire della legislatura.

Nel 2008, da un comitato indipendente al quale appartenevano tra l’altro anche Antonello e Mario Carboni, oltre al compianto Gianfranco Pintore, arrivò la proposta di una nuova Carta de Logu noa che sostituisse l’attuale Statuto Autonomo della Sardegna, e che all’articolo 46 recitava testualmente che “La Regione al fine di favorire lo sviluppo economico dell’isola con il concorso dell’Unione europea e dello Stato: a) approva il Piano generale delle infrastrutture; istituisce la zona franca coincidente col suo territorio”.

Anche questa proposta è rimasta nel cassetto, sebbene oggetto di presentazione sotto forma di disegno di legge costituzionale da parte del Senatore Massidda nell’anno 2008 e ripresa in un successivo disegno di legge nazionale (la numero 11) dal trio Dedoni – Cossa – Crisponi nell’anno 2015.

Infine nell’anno 2017 si è arrivati all’emanazione del Decreto Legge del 20 giugno 2017 n. 91, recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, che all’art. 4 disciplina le procedure, le condizioni e le modalità per l’istituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES) al fine di favorire lo sviluppo delle imprese già operanti e l’insediamento di nuove nelle aree che ricadono al loro interno. Le ZES sono zone geograficamente delimitate e chiaramente identificate, costituite anche da aree non territorialmente adiacenti purché caratterizzate da un nesso economico funzionale, con inserita all’interno almeno un’area portuale collegata alla rete trans europea dei trasporti”.

Come ho già avuto modo di affermare le ZES non sono propriamente una Zona Franca, ma debbo dire che possono essere un primo importante passo in quella direzione. Ciò che auspico è che si lavori contemporaneamente su due fronti, cioè sia con la massimizzazione delle agevolazioni previste dalle ZES che con la perimetrazione delle zone franche. Che le ZES siano cosa diversa dall’idea originaria di Zona Franca che i sardisti agognano da oltre un secolo lo avevo già ben spiegato nel recente passato e a ricordarcelo ancora una volta è stato Mario Carboni che, in occasione del convegno di Ghilarza, ha opportunamente sottolineato che il ritardo nell’attuazione delle ZES in Sardegna è stato provocato dall’Agenzia delle Dogane che ha voluto che fosse cambiato il testo di legge con l’esplicitazione del concetto che una ZES non è da considerare una Zona Franca, che viene infatti istituita secondo il codice doganale dell’Unione Europea, non sottoposta ad alcuna norma europea tranne norme specifiche ad hoc.  Ciò che dobbiamo ricordare è che anche dentro le ZES si possono prevedere zone doganali con percorso diverso, ma certo la perimetrazione attuale cosi limitata delle ZES è totalmente insufficiente.  Peraltro le ZES, vista la normativa, potrebbero essere l’occasione per superare lo scoglio governativo chiedendo l’istituzione di zone franche doganali direttamente con autorizzazione dell’agenzia dogane.

In altre parole una ZES é una cosa utilissima ma é un binario parallelo e oggi le zone franche non sono gestibili dalle ZES ed invece prevedendo una zona doganale al loro interno potremmo evitare un ingorgo operativo ed economico. Le zone economiche speciali sono nate negli Stati Uniti d’America negli anni ’30, in Irlanda negli amni ’60, in Cina negli anni ’80, sviluppando milioni di nuovi posti di lavoro e abbiamo il dovere di prendere esempio dalla ZES di Barcellona o del Porto di Tangeri

Quanto alle zone franche manca ancora la perimetrazione delle zone franche di Olbia, Oristano, Arbatax e Porto Torres, mentre sono state già determinate quelle di Cagliari e Portovesme e tutte necessitano poi di un decreto attuativo del governo nazionale italiano, mentre i commissari delle ZES, secondo quanto sottolineato dallo stesso Mario Carboni, potrebbero chiedere il regime franco doganale direttamente all’Agenzia delle Dogane.

Che la nascita delle ZES possa essere un primo passo verso la creazione delle zone franche previste dallo statuto e dal decreto 75/1998 non è solo una ipotesi di scuola, ma una realtà. E’ sufficiente andare al sito dell’Autorità del Porto di Taranto per prendere atto che “la perimetrazione di tale zona è stata definita dall’AdSP del Mar Ionio e approvata con determinazione del direttore nazionale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. La Zona Franca prevista è stata realizzata nel territorio dell’area portuale e prevede zone non contigue ma funzionali l’una all’altra quali magazzini per lo stoccaggio delle merci e parcheggi, oltre alla presenza di presidi doganali per il controllo delle merci in entrata e in uscita presso i varchi di accesso. I territori destinati alla Zona Franca non sono considerati parte del territorio doganale dell’UE”. Quindi l’intervento di Mario Carboni durante il convengo di Ghilarza è stato preciso e puntuale e di ciò dovremmo fare tesoro evitando di abbandonarci ai soliti catastrofismi, ma assumendo un atteggiamento lucido e operativo sul piano delle scelte future, valorizzando nel contempo le ZES e lavorando alla creazione delle zone franche al loro interno approfittando delle prerogative riconosciute in questo senso ai commissari, per poi fare leva sulle previsioni del decreto 75/1998 per ampliarne progressivamente il perimetro.

Certo è che con un sistema di governo di tipo federale (che prevede anche un sistema fiscale autonomo), quello a cui lavoriamo da due anni con molti amici e che presenteremo nella sua bozza definitiva il prossimo 21 Maggio a Macomer, tutto questo groviglio sarebbe stato evitato, ma gli obiettivi politici devono fare i conti con gli ostacoli di uno stato italiano burocraticamente e politicamente lento a recepire il diritto dei sardi ad avere istituzioni proprie nell’ambito delle leggi internazionali sull’autodeterminazione dei popoli, ma anche sulla base del diritto alla diversità culturale (che è anche linguistica, religiosa, storica, tradizionale) che l’UNESCO a proclamato con la Carta di Parigi e con la fissazione della data, non a caso, del 21 Maggio di ogni anno, per la celebrazione di una giornata mondiale su questo tema.

Le ZES dunque non sono zone franche, ma sono strumenti importanti di sviluppo che, con un’attenta gestione da parte dei commissari, di concerto con la politica sarda, sono strumenti giuridicamente idonei alla contestuale istituzione di zone franche doganali, primo avamposto di una futura zona franca integrale della Sardegna.