2 Giugno, è urgente costruire una Sardegna Stato Federale

In questa ennesima ricorrenza del 2 Giugno non posso esimermi dal parlare ai miei conterranei ed esprimere liberamente i miei sentimenti. Cosa significhi questo giorno nella retorica nazionale italiana lo sappiamo ormai a memoria. Non mi accoderò certamente ai detrattori dei valori che essa esprime, perché sono assolutamente condivisibili. Il punto è che questi valori sono frutto di una storia che non ci appartiene, perché il paradosso ha voluto che l’istituzione del Regno di Sardegna abbia costituito un esplicito riconoscimento storico esterno della naturale esistenza della nazione sarda, ma allo stesso tempo questa indiscussa nazionalità è sempre stata oppressa e compressa dall’esterno attraverso l’imposizione ai sardi di altre lingue ed altre leggi, sino a dissolversi giuridicamente con la c.d. fusione perfetta che sarà per Gian Battista Tuveri ragione per la nascita della questione sarda.

Non sto a ripetere ciò che ho scritto e ribadito più volte sul risorgimento come eccezionale evento pieno di contraddizioni e di lati oscuri, ma ciò che è certo è il fatto che la Repubblica Italiana è in forte debito con me per avermi sottratto storia, lingua e libertà, il che non mi senbra proprio cosa da poco.

Sul fatto che la Repubblica Italiana ci abbia sottratto la nostra Storia non può esservi dubbio alcuno. Nei miei molteplici appelli ai docenti sardi ho denunciato più volte che i libri di storia della scuola italiana abbiano sempre avuto ben cura di tacere sulla storia della Sardegna e dei sardi, spacciando la nostra isola come una casuale macchia sulla cartina da sempre approdo di conquistatori che invano cercarono e cercano di civilizzarla per portarla al mondo moderno, tacendo invece del fatto che proprio in Sardegna nacque la prima vera e grandiosa civiltà del mediterraneo occidentale, migliaia di anni prima della fondazione di Roma e che in pieno medioevo gli stati autonomi sardi, i Giudicati, retti tra l’altro anche da Regine Giudicesse, rappresentassero a livello legislativo quanto di più moderno ed avanzato si potesse pensare per i tempi.

Non si può negare nemmeno che la Repubblica Italiana mi abbia sottratto la mia lingua, impedendomi di usarla liberamente nella mia formale espressione di cittadino sardo, nelle scuole, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. La Repubblica Italiana ha negato ai sardi il bilinguismo sino a spingere una parte non insignificante di essi a rinnegare la propri lingua scatenando un fenomeno che io ho ribattezzato servilismo linguistico.

Le cose non andavano certo meglio al tempo dei Savoia, sul cui apporto basti leggere quanto, con grande precisione da storico, riporta nelle proprie opere Francesco Casula, ma qua limitiamoci (e vi dico che ce n’è d’avanzo) alla questione del nostro rapporto con la Repubblica Italiana, rea tra l’altro di averci imposto un modello di sviluppo che sin dalla fine degli anni ’70 ha mostrato appieno i limiti finendo per ostacolare e ritardare il nostro naturale processo di maturazione interna sradicato migliaia di persone dal settore primario al quale ora stiamo ritornando con successo.

La Repubblica Italiana, organizzata secondo uno schema dirigistico e centralistico di tipo ottocentesco, non ha permesso alla Sardegna di decidere del proprio sviluppo, eterodiretto da quel mondo politico e sindacale che si è mosso sulla base di logiche nazionali italiane., poco propense a riconoscere le nostre specificità.

Le politiche assistenzialiste romane hanno imbrigliato la Sardegna all’interno di una gabbia che ne ha limitato fortemente la crescita. Questa mia affermazione è basata sull’analisi delle dinamiche economiche dei mercati di tutto il mondo, che ora più che mai avvantaggiano i territori capaci di esprimere valori e specificità, caratteristiche insite in un popolo come quello sardo, da sempre ideale per unirsi in nome di una bandiera, di una lingua, di una terra, di una natzione/patria, non per isolarsi, ma per proiettarsi nel mondo ed al mondo partendo da una propria consapevolezza, dagli errori da non ripetere, dall’abbandono dell’atteggiamento fatalista a causa del quale anche Sa Die de sa Sardigna non viene ancora percepita per la sua incedibile valenza ed insegnamento,

Al posto di questa Repubblica che rispettiamo, ma che non sentiamo nostra, proponiamo una Repubblica Federale dove vi sia il riconoscimento della Sardegna Stato Federale, l’unica soluzione che potrebbe rappresentare lo strumento irripetibile per i sardi e per la Sardegna per esercitare in piena libertà il proprio diritto di esistere come natzione, una natzione che non si limiti alle irrinunciabili rivendicazioni sulla lingua e sui principi di autodeterminazione, ma una natzione capace di elaborare un nuovo modello di sviluppo condiviso e declinato secondo le attuali vocazioni della Sardegna, deciso dai sardi per i sardi, aperto al mondo, all’Europa dei popoli, al mondo delle imprese, superando tutte le attuali criticità del sistema Italia che oggi sono di grande ostacolo agli investimenti di capitali esterni nella nostra isola, a causa di un sistema fiscale, doganale e burocratico che non tiene conto degli interessi della Sardegna.

In una Sardegna Stato Federale la Zona Franca sarebbe cosa già fatta.

Per portare avanti questo progetto è necessario passare ad una fase più matura dove la politica accetti la sfida per la costruzione di un governo regionale di unità nazionale sarda, capace di mettere da parte le divisioni spesso frutto d categorie estranee alle dinamiche autoctone, come i concetti storici di destra e sinistra, buoni solo a dividerci e a perpetuare l’asfissiante controllo romano della Sardegna.

Le due parole che sono a fondamento di una Sardegna Stato Federale dovranno essere responsabilità e consapevolezza dalle quali otterremo sviluppo e dignità. Senza questo passo fondamentale ogni divisione tra sardi è una concessione fatta “a sos istranzos” contro noi stessi.